La serata è calda ma la brezza che è salita da qualche minuto, da quando il sole s’è stancato di essere unico protagonista, rilassa il corpo provato.
I gradoni in pietra, sono seduto giusto su una ammonite da una spanna, non sono molto comodi. Però tutt’attorno l’atmosfera rinfranca lo spirito alleviando le pene del corpo, e del sedere nello specifico.
Ora ho capito perché le bancarelle in piazza Brà vendevano decine di cuscinetti da gradinata. Ma torniamo all’atmosfera, che, come detto, nella magia del tramonto si è fatta serena. Dalla buca le prime note di accordatura e prova degli orchestrali giunge agli spalti delicata e sommessa, un alito fresco e leggero. Un gruppetto di spettatori, guidati da una probabile maestra di canto, intona il “Va’ pensiero” in maniera spontanea, il vento contrario rende il coro ben equilibrato col volume di prova dell’orchestra e il missaggio risulta gradevole e inaspettato, quindi molto piacevole. Le rondini volteggiano nel cielo dell’Arena di Verona e la mia posizione negli spalti, non propriamente d’onore ma certamente alta, permette di poterle seguire finché oltrepassano le mura dello storico teatro veronese perdendosi nel panorama collinare a nordest.
Io e Barbara siamo entusiasti dell’ambiente e lo sono anche gli svariati turisti che giungono a gruppetti, scamiciati e in sandali o con leggeri vestitini. I primi ambulanti passano con acqua e bibite, ma da veri esperti di marketing giocano l’asso nella manica annunciando a gran voce “Vino bianco, vino rosso! Weiss wein, rot wein!”. Il pubblico straniero, gran parte d’origine teutonica, si sbraccia per richiamare l’attenzione del venditore: dalla mia semplice e fredda analisi di mercato, direi che i tedeschi adorano il rosso con maggioranze bulgare.
Ormai è l’ora del primo gong e tutti iniziano ad accomodarsi al meglio. Gli ultimi arrivati si fanno spazio tra i pochi pertugi rimasti. Il primo violino si alza e dal palco del direttore intona l’orchestra. Poi siede composto, in rispettosa attesa. Sta arrivando il buio, velocemente seppure sia giugno, e al secondo gong i fari già creano il bollo sulla gonghista.
Così ecco apparire il direttore d’orchestra, accompagnato da un assistente che gli apre il passamano sul palco d’orchestra. Tutto è pronto.
E infatti ecco apparire i primi attori della mia prima Opera dal vivo: ho scelto “Il barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini perché so che la durata mediamente minore rispetto ad altre opere, e il fatto che sia una opera buffa, risulterà certamente più vicina ai miei gusti naturali. Solitamente ascolto punk-rock, cosa ci faccio sui gradoni dell’Arena stasera? Ma in definitiva, chi se ne frega? Gioachino non delude le aspettative, giocare gli piace.
Mi calo in Andalusia, seppure stasera qui sia fresco, e scopro da subito che i testi hanno un che di impertinente, scopro infatti che Rossini li scrisse da ventitreenne, quando non si conoscono cappi e catene.
Si respira alla grande, questa giovinezza: tenore e contralto, baritono e soprano, tutti rendono la rappresentazione fresca e teatrale, pur mantenendo un’aura generalmente elegante. Mi piace, nonostante la scomoda seduta sui gradoni in pietra.
L’incedere dei testi, sapientemente musicati con precise sottolineature dall’orchestra, mi colpisce, è un percorso fatto di susseguenti ripetizioni, una camminata con un preciso schema tre passi avanti e due indietro. Mi ricorda lo stile di scrittura dell’autore vicentino Vitaliano Trevisan.
L’alternarsi di cantori, di costumi, di situazioni, rende tutto movimentato e interessante. A volte sono terzetti, a volte duetti, anche quintetti. Della prima parte mi piace, ovviamente, la cavatina “Largo al factotum” (sì, questo il nome di quella che per me fino a ieri era Figaro qua, Figaro là) e il duetto Figaro/Conte “All’idea di quel metallo”; sono le migliori, a cui aggiungerei anche l’aria “La calunnia è un venticello” interpretata da Don Basilio.
Sono le undici passate da un po’, tutti gli interpreti e il coro sfornano un gran finale, il pubblico applaude entusiasta e gli attori sul proscenio sfoggiano grandi inchini. Io e Barbara ci guardiamo, pensavamo durasse di più. Quasi dispiace sia già finita, tuttavia come nostra prima volta può bastare. Ci alziamo e allunghiamo il corpo rattrappito: che bello è anche stare in piedi, qualche volta!
Uno speaker annuncia che il secondo atto inizierà tra mezz’ora.
Secondo atto, mezz’ora di pausa! Ahah, come potevamo pensare che fosse già finita? Andiamo a bere un calice per sopire la sete e ci riaccomodiamo. Qualche straniero è andato via, del resto non ci fosse stato lo speaker saremmo certamente usciti anche noi con loro.
Il direttore d’orchestra torna sul palco seguito dai riflettori e inizia il secondo atto. Ora è ancora più fresco e siamo più larghi e comodi. Ce la godiamo proprio, la seconda parte, di cui ho gradito molto l’aria “Il vecchiotto cerca moglie” interpretato da Berta. Che poi, la vecchia inserviente, risulta essere molto simpatica al pubblico per la sua schiettezza.
Il vecchiotto cerca moglie
vuol marito la ragazza
quello freme, questa è pazza
tutti e due son da legar.
Ma che cosa è questo amore
che fa tutti delirar?…
Egli è un male universale
una smania, un certo ardore
che nel core dà un tormento…
Poverina anch’io lo sento
né so come finirà.
Ah vecchiaia maledetta
che disdetta singolar!
Niun mi bada, niun mi vuole
son da tutti disprezzata
e vecchietta disperata
mi convien così crepar.
Le musiche si susseguono, i costumi si fanno sempre più ricchi ed eleganti. Si avvicina il vero finale, ovviamente dove cantano tutti, rinforzati dal coro.
Un successo! Gli applausi proseguono svariati minuti, ce n’è per tutti.
Poi, sommessamente, il pubblico inizia a svuotare l’Arena e le luci si dimezzano.
Uscendo sento entusiasmo nei commenti, traspira anche dagli idiomi più scellerati, e inizio a intonare arie improvvisate per comunicare a Barbara, Davide e Cristina che ho molta sete e vorrei bere una rinfrescante vasca di birra bianca.
È stata una serata molto interessante, ci siamo divertiti assistendo a uno spettacolo per noi tutto nuovo. Dagli abituali testi taglienti propri del rock alla prosa elegante dell’opera. Fatta!
Il momento migliore, a me che piacciono le atmosfere magiche, è stato al tramonto, tra le prove e i canti sommessi di umani e volatili. E magia nella magia, credetemi non sto inventando, fin che sto scrivendo queste righe alla frescura del terrazzo, un uccello che non avevo mai sentito prima inizia a stridere sgraziato, nell’oscurità. Alzo la testa attratto dal verso e proprio in fronte a me uno splendido meteorite, oro e verde come il costume di scena finale di Rosina, mi sorprende rinnovando lo stupore.
C’è da festeggiare la magia dei momenti unici, e va fatto con una bottiglia buona, così scendo in cantina e mi dedico a una scelta che mi imbarazza: Weiss wein oder Rot wein?
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