La cena delle anime

Ho serie difficoltà a ricordare quando è stata l’ultima volta che ho dedicato molto tempo a cucinare per un ospite. Tuttavia nelle rare eventualità non credo di essere andata oltre il quarto d’ora.


E’ una splendida sera di luglio, è stata una giornata calda, ma soffia un maestralino gentile, molto gradevole. Mi trovo nella piazza principale del comune di Baradili, sud Sardegna, in occasione del “Festival dei Corti nel paese più corto”. Tanta curiosità e molte aspettative condivise, mi sembra di capire, dagli altri partecipanti. Il primo filmato in programmazione è “La Cena delle Anime” di Ignazio Figus, girato interamente in bianco e nero, nel paese di Orune (NU). La pellicola inizia con due panoramiche del paese, è l’imbrunire e l’aria è fosca. In sottofondo si sente, inconfondibile, lo scampanio di un gregge che lentamente appare sulla scena. Una viuzza del centro storico stretta e contorta come un budello e il guaire di qualche cane, precedono il primissimo piano di una donna anziana con il fazzoletto in testa, principale e unica protagonista del filmato.


Perfettamente assorta in quello che sta facendo: con le mani nodose sicure e sapienti crea dei grossi lombrichi di pasta arrotolata. Dopo averli tagliati a tocchi e schiacciati tra le dita gli dona una forma piatta, ovaloide. Gli gnocchi, a mano a mano che sono realizzati, vengono disposti religiosamente in senso circolare su un vassoio rotondo sul quale è posato un velo di carta chiara, abilmente traforato. Sono i “maccarrones de sos mortos” appositamente preparati la sera del primo novembre, quando, secondo la tradizione, le anime dei morti tornano nelle case dove hanno vissuto per cibarsi ancora una volta di quello che li aveva nutriti in vita.

La pasta di semola preparata per l’occasione (Fotografia per gentile concessione dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna)


Si lasciano aperte le porte di casa la notte per farli entrare.


Nell’osservare la calma e la meticolosità della donna, penso che per preparare tutti quegli gnocchi occorreranno almeno due ore.


La donna prende la grattugia e un grosso pezzo di pecorino e, nel suo ruolo di officiante, annuncia, appunto, che grattugerà il formaggio. L’inquadratura si allarga sulla cucina non tanto grande ma ingombra di cose di tutta una vita: utensili, foto, ceri accesi, quadretti. Sopra il fornello a gas acceso troneggia una grande pentola con l’acqua in ebollizione. La protagonista recita una preghiera in sardo e tenta di accendere un cero. Invoca i nomi dei suoi morti: babbu, zio Pietro, Nenneddu, Antonio, Bobore, Cecilia e Nennedda. E recita un’altra preghiera. L’inquadratura si allarga nuovamente e propone un’altra parete della cucina, uno scaffale decorato con lo stesso tipo di carta chiara già vista precedentemente dove erano adagiati gli gnocchi.


Chissà quanto tempo è servito per ritagliare tutta quella carta! Penso, tra me e me.


Una ripresa panoramica sulla tavola che, come un altare pagano, preannuncia abbondanza: frutta mista di stagione savoiardi sardi mela cotogna melagrana sgranata dolci sardi assortiti formaggio grattugiato pane molle pane carasau una bottiglia di liquore un fiasco di vino una brocca in terracotta per l’acqua. Tutto attentamente sistemato in contenitori adeguati, la frutta su un’alzata, i dolci sui vassoi, la melagrana sgranata in una coppa e l’acqua in una brocca di terracotta.


Calcolo che saranno serviti almeno una ventina di minuti di preparativi, più o meno.

La anziana signora stende la tovaglia sul tavolo in legno grezzo. Accende un cero per il Padre eterno. Poi vi posiziona una saliera con stuzzicadenti due pacchetti di sigarette uno di sigari. Il posizionamento è meticolosissimo, gli oggetti sul tavolo vengono spostati, girati, sistemati, riassestati e la loro posizione vagliata e modificata per ogni aggiunta. La composizione deve essere perfetta. Mamma mia! Ogni cosa aggiunta sul tavolo, mi dico, avrà richiesto una decina di secondi.
Arrivano le portate calde: manzo in umido agnello in tegame pollo con sugo salsiccia verdure cotte funghi.


Calcolo che ad occhio e croce (le mie abilità in cucina sono scarse) ci saranno volute una decina di ore di lavoro!

Dettaglio della tavola imbandita (Fotografia per gentile concessione dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna)


Ogni volta, riposiziona, vaglia, gira e sposta, prende le misure col suo occhio esperto, sicuro e sapiente. Senza fretta.

Sempre dieci secondi in più per ogni riposizionamento. Almeno, credo.


Finalmente scola i “maccarrones” li adagia su un grande piatto da portata e li condisce con sugo di pomodoro e il formaggio grattugiato. Li posa sulla tavola, fumanti e veramente invitanti. E a questo punto anche a noi vivi, viene l’acquolina in bocca. Naturalmente rigira il piatto e lo riposiziona poi, non contenta, lo sistema su una teglia rovesciata sulla quale adagia un altro velo di carta chiara con decori ritagliati. D’altronde è il piatto protagonista del convivio.


Tutta questa operazione avrà richiesto altri dieci minuti, circa, direi.

Infine, termina il suo capolavoro aggiungendo una caffettiera. Sistema i bicchieri e poi spiega, in italiano, come farebbero i morti a consumare il cibo: si china sui piatti e simula l’azione di assorbire con la bocca. Precisa che l’informazione corrisponde al vero in quanto riferitale da una sua conoscente che i morti li vede davvero! Mentre la protagonista recita l’eterno riposo, l’inquadratura si fa più buia e mostra una decina di lumi accesi a fianco di una serie di vecchie fotografie. Nomina ancora i morti per nome: goppai Eusebio, Nennedda… Il cortometraggio si conclude con una panoramica notturna del paese, appaiono i fari di un’auto, una inquadratura più lontana. Fine.

Fotografia per gentile concessione: Istituto 
Superiore Regionale Etnografico
Paschedda Goddi prega per i defunti (Fotografia per gentile concessione dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna)

Il presentatore del Festival, Marcello Atzeni, chiede “c’è qualcuno che vuole fare qualche domanda a Ignazio Figus, il regista, che è qui stasera?”

Si fa avanti una spettatrice che chiede “io vorrei sapere se la signora del filmato è ancora viva”.

“No – risponde il regista – Signora Pasqua purtroppo è deceduta” .

”E da quando lei è morta, c’è stato qualcuno che le ha preparato la cena dei morti?” “no, non credo, non mi risulta “– risponde Figus.


E perché no? Mi sono domandata. Mi rispondo pensando alla progressiva laicizzazione della società moderna che ha raggiunto anche le zone più interne della Sardegna. Spiegazione plausibile ma anche, mi pare, scontata e superficiale. Poi riflettendoci direi che si tratta piuttosto della solita fretta che ci sottrae tempo da dedicare agli altri, anche in cucina. Il tempo non è mai abbastanza. Il tempo è sempre più prezioso.

 

Mi sarei potuta sbrigare scrivendo che in un cortometraggio di un quarto d’ora un’anziana prepara la cena per i suoi morti. Invece volutamente mi sono dilungata e sono stata puntigliosa nel riferire ogni singolo dettaglio – scandendo i tempi del rituale – perché ciò che più mi ha colpito di questo antico rito è stata proprio la dedizione necessaria in termini di tempo alla preparazione della sontuosa cena. Quanto tempo dedicato a cucinare per gli altri! Perché in fin dei conti la cena delle anime è, o era, tempo dedicato agli altri.

Ma io no, non posso perdere tempo. Non ne ho mai mai abbastanza. Né per i vivi e tanto meno per i morti. Ergo, quando non ci sarò più, in occasione della festività dei defunti potrò solo sperare in un hamburger rinsecchito del delivery.

Sperando che lascino le porte aperte.

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