Traduttore, traditore

How do you say “bread” in Italian? –
Pane! – rispondiamo quasi all’unisono noi studenti italiani con quel tono che con sufficienza implica:  “ovvio! Ma cosa ci chiede?”
Traduttore, traditore! – si affretta a controbattere in italiano l’insegnante Mark, non senza difficoltà e facendo quanto gli è possibile per arrotare tutte quelle erre.

La mia reazione di sorpresa a questo esordio è condivisa con il gruppo di italiani presenti in sala, ci cerchiamo con gli sguardi, fulminei e attoniti. 

Cominciamo bene!” penso.

Il fatto che questa Università si fregi di essere considerata una delle prime al mondo, la sua notorietà e il prestigio, lasciano spazio al pensiero dei tanti soldi e dei sacrifici che mi sono costati questo ulteriore anno di studi. Siamo un bel gruppo di studenti provenienti da tutto il mondo, iscritti a un Master in Traduzione, molti di noi sono residenti a Londra da tempo, qualcuno è davvero un perfetto bilingue. Tra questi non più giovanissimi – età media trent’anni – gli italiani sono ben rappresentati da cinque membri; non posso pensare che abbiamo fatto tutti un buco nell’acqua iscrivendoci qua, e resto in attesa che questa “traduzione traditrice” riceva qualche ulteriore dettaglio.


Mark ci spiega infatti che ogni parola ha un primo significato che la denota, quello più ovvio e che solitamente si trova per primo nelle voci del dizionario, ma oltre a questo porta con sé tutta una serie di connotazioni aggiuntive fermamente radicate nella cultura e nel tempo ai quali la parola appartiene.
Questi significati sono condivisi da membri che, nella comunità della lingua tradotta, potrebbero essere anche profondamente diversi o addirittura inesistenti.
E’ questo aspetto che pone in difficoltà il traduttore.

La parola “bread” in inglese – procede Mark, sereno – il più delle volte riporta i parlanti britannici a un sacchetto di plastica dal contenuto gommoso, solitamente perfettamente affettato. Non ha un profumo particolarmente invitante, è disponibile sempre: in qualsiasi punto vendita di alimentari, in qualsiasi giorno della settimana, a qualsiasi ora del giorno.
In altre culture invece la parola “pane” assume invece connotazioni legate a una inconfondibile fragranza, alla croccantezza della crosta, al calore del prodotto appena sfornato e al momento dell’acquisto che è solitamente la mattina presto; e non solo.
Profumo, calore, croccantezza, mattina presto.
Ricordo ancora il rituale mattutino per noi bambini quando mio padre rientrava in tempo per la nostra colazione, con un sacchetto di pane caldo. La mia mente viene catapultata a ritroso nel tempo e nello spazio; visualizzo una forma fragrante e calda di “civraxu”. Con impazienza immagino di tagliarne una bella fetta e di condirla aprendo in due un pomodoro maturo e sfregando la sua polpa rossa e succosa sulla mollica ancora calda; un filo di olio d’oliva degli zii, una spolveratina di sale ed ecco: la mia colazione preferita!

Mi ricompongo. Sono nuovamente in classe. Ecco, ho capito! Tutta la parte da “profumo” a “preferita” è connotazione. E, quindi, come la traduco in inglese? Ha ragione Mark…è una bella sfida… lezione imparata!

Questo non è un corso di traduzione, lasciate quindi che vi dica qualcosa sul “civraxu”. E’ un pane di forma circolare, di dimensioni medio grandi che può pesare sino a 4 kg, fatto con diversi tipi di farine, tra cui la semola di grano duro; è tipico dell’area del Campidano, parte meridionale della Sardegna.

L’origine si perde nella notte dei tempi e diverse sono le ipotesi circa il significato del nome; la più plausibile parrebbe quella che lo vuole derivato dal latino “cibarium”. Quando la panificazione era un atto famigliare privato, in ogni casa lo si preparava una volta alla settimana, dato che le sue forme erano in grado di mantenersi commestibili per parecchi giorni.

Quando non lo erano più, sicuramente non si buttavano via, ma diventavano, e ancora diventano, ingrediente principe di alcune pietanze semplici della così detta cucina povera, come ad esempio “is suppas” condito con pomodoro, brodo e formaggio, o “su pani indorau” ammollato nel latte, impastellato, fritto e cosparso di zucchero: leccornia che io semplicemente adoro.

Assoluto protagonista delle tavole sarde, in italiano è anche chiamato “pane di Sanluri”, in quanto da decenni ormai il “civraxu” trova nelle sapienti mani dei panettieri di questa cittadina una delle sue espressioni migliori. Sanluri ha dedicato anche un interessantissimo museo all’arte bianca e al suo “civraxu”, il quale nel frattempo ha ottenuto la certificazione di marchio collettivo e ha iniziato l’iter per l’ottenimento della certificazione DOP.


Torniamo alla sfida della traduzione: come si traducono quindi le connotazioni?
Quando un termine non ha l’esatto corrispondente nell’altra lingua e ci sono connotazioni che non possono essere perse, si dovrebbero aggiungere altre parole, si dovrebbe spiegare, per rendere l’idea.
Ma se nell’economia della frase non c’è modo o non c’è spazio per aggiungere parole (pensate ad esempio ai sottotitoli di un video) ebbene quella connotazione è semplicemente persa. Dicendo solo “bread” non comunico la fragranza, il calore, il profumo del “civraxu” che dai forni di Sanluri si spande per le vie del centro la mattina presto o…il venerdì sera. Infatti, adesso anche il venerdì sera c’è chi panifica.

Ne converrete, immagino, che tutto questo non può essere espresso solo con “bread”. Alto tradimento!

 

Sanluri, Terra del Grano

PS : parliamo anche di pronuncia…nella parte finale della parola "civraxu" si pronuncia la “x” come “ge” di “perlage”.
Panificio Cirronis, Sanluri
Leggi tutto: Traduttore, traditore

More Reading

Post navigation