Che la pubblicità e il marketing influenzino le scelte del consumatore è ormai ben noto e siamo abbastanza bravi nello smascherarle. Detergenti che puliscono senza fatica, cibi che ci faranno sentire in ottima forma, bevande che fanno subito festa, creme che ci fanno ringiovanire di un lustro.
Ho sempre pensato che grazie alla mia esposizione costante ai consigli per gli acquisti ne fossi ormai immune e che le mie scelte fossero totalmente autonome e ponderate, indirizzate verso il meglio per le mie esigenze. Una intrigante coincidenza mi ha portato a rimuginare parecchio su questo concetto.
Recentemente mio marito ha scaricato sul cellulare l’applicazione della sua compagnia telefonica e per sua somma gioia ha scoperto un gioco che lo ha letteralmente tenuto incollato allo schermo del dispositivo per qualche settimana. Le meccaniche del gioco sono molto semplici: si tratta di indovinare una parola chiave di cinque lettere tramite un numero limitato di tentativi, mi pare cinque. Se le parole utilizzate per i tentativi contengono lettere comprese nella parola chiave, l’applicazione le segnala indicando anche se la posizione di tali lettere nella parola chiave è corretta o meno. Indovinando la parola chiave si partecipa a una sfida collettiva basata sulla quantità di parole chiave indovinate e velocità nell’indovinare; e più si gioca, naturalmente, più si scalerà la classifica, passando di livello e passando di livello poi si ottengono premi in forma di sconti e buoni acquisto vari. Ho osservato la mia dolce metà mentre, con tanto impegno, ogni sera dopo il lavoro si dedicava al gioco e si prestava alla sfida, divertendosi, e spesso contestando con veemenza quando la parola chiave era poco conosciuta o, secondo lui, addirittura inventata e mi ha sorpreso non poco il fatto che avesse messo da parte i suoi svaghi usuali per dedicarsi a questo giochino. Insomma era cambiato!
Mi sono domandata quale meccanismo profondo sottenda una motivazione così impellente e in generale cosa ci convinca a cambiare le nostre inveterate abitudini; anche negli acquisti. Casualmente nello stesso periodo, stavo seguendo un corso di aggiornamento per insegnanti dove ho avuto modo di avvicinarmi con grande interesse, devo ammettere, al concetto di “ludicizzazione”, conosciuta anche come “gamificazione” o gamification.
Con questi termini si identifica il ricorso ai meccanismi e alle dinamiche tipiche dei giochi per promuovere nei partecipanti, in ambienti non prettamente ludici, determinati comportamenti. Meccaniche quali ad esempio il ricorso ad Avatar con poteri, la possibilità di scalare di livello, la concessione di punti, la progressione per missioni, il gioco di squadra, la premialità. In modo particolare, infatti, la gamificazione si rivela utile nella scuola laddove scarseggi la motivazione, perchè la stimola favorendo il coinvolgimento attraverso le dinamiche tipiche del gioco tanto care ai nostri ragazzi, ma a quanto pare, non solo. Ma come funziona o meglio perchè funziona?
Come ci spiegano le neuroscienze, la mente umana è istintivamente portata ad apprendere per sopravvivere e l’istinto all’apprendimento naturale è stimolato da dinamiche quali l’autoaffermazione, la competizione, l’affermazione del sè nel gruppo sociale, l’approvazione del gruppo, la ricerca della gratificazione attraverso premi e ricompense. Dinamiche sulle quali fa leva la gamificazione.
In parole povere, ricorrendo a tutto questo, l’insegnante ha modo di “guidare” l’alunno, solitamente privo di interesse, a fare ciò che gli permette di imparare; magari senza che neanche se ne accorga.
Da una prospettiva didattica, tutto molto interessante perchè mette a disposizione della scuola un nuovo strumento che la rende più competitiva in un mondo sempre più tecnologico e ricco di stimoli e informazioni.
Partendo dallo stesso principio, le attrattive del gioco, è noto, vengono utilizzate anche in altri campi per “spingere” i partecipanti a scegliere un comportamento più virtuoso. Ricordo l’esperimento fatto in Svezia qualche anno fa, che aveva come obiettivo indirizzare i passeggeri di una stazione a fare le scale anzichè scegliere le scale mobili: la scala è stata trasformata nella tastiera di un vero e proprio pianoforte con tasti funzionanti. Poter sentire i propri piedi suonare una dozzina di note si è rivelato irresistibile e ha “spinto” tantissimi passeggeri a salire le scale. Il video li mostra divertiti, schiacciare i grandi tasti anche più volte del necessario, tornare giù e risalire, incuranti evidentemente della fatica e del tempo impiegato che, in altro contesto, sarebbe stato considerato preziosissimo. Insomma, offrendo divertimento e una ricompensa i partecipanti sono stati spinti a cambiare il loro comportamento, cosa che probabilmente non avrebbero fatto se alla base delle scale ci fosse stato un cartello di invito a “non usare” le scale mobili. La spinta gentile è stata così chiamata – in inglese – nudge. Lo spunto proviene dal titolo del libro dello studioso che ha teorizzato per primo il concetto, appunto, del nudge. Questa teoria dimostra come un invito gentile, un suggerimento, un’attrattiva, siano più efficaci di mille divieti o pubblicità progresso.
Divertimento, gratificazione, raccolta punti, sfide tra pari, ricompense in forma di buoni acquisto e sconti. Ecco spiegato il motivo di tanto fascino del giochino telefonico il quale, nella sua apparente semplicità, non fa altro che applicare le regole della gamificazione per guidare “gentilmente” il consumatore nella scelta. Ma quanto queste spinte gentili e divertenti ci indirizzano sempre a compiere solo azioni a noi sempre favorevoli e quanto sfruttino furbescamente le dinamiche del gioco a noi tanto care, per influenzare i nostri acquisti? Consigli per gli acquisti, mi raccomando: attenzione alle spinte…soprattutto a quelle non proprio gentili!