Partiamo da Treviso alle 15,30 di un torrido pomeriggio estivo.
A casa di Paui, punto di partenza della missione, il termometro segna 39 gradi centigradi. Trasferisco il mio zaino sul suo Volkswagen California e ci avviamo verso nord, destinazione Cadore, io ancora assonnato da una serata di festa con amici. Obiettivo: fotografare una nebulosa per almeno quattro o cinque ore.
Spiegherò in seguito perché serve un lavoro così lungo. Paui è la persona perfetta per fare una esperienza del genere. Con la sua attività di accompagnatore di media montagna propone uscite di trekking di più giorni per Alte vie o traversate, serate astronomiche, combo trekking/geologia o trekking/acquerello, percorsi botanici e giri su misura. Ha mille risorse, lo penso da quando l’ho conosciuto. Arrivati a Longarone, solita tappa al supermercato Super W dove un gentilissimo banconiere dalla barba fulva ci affetta il salame e il formaggio che accompagneremo al pane. Compriamo anche tre bottiglie di birra. Una di vino l’ho portata da casa.
Una volta a posto col materiale di sussistenza, ripartiamo.
Arrivati a Laggio di Cadore, soprannominato con accento brasiliano Laggio Cadorenho per il caldo equatoriale presente anche lì (34°), beviamo un aperitivo con Pego e sua figlia prima di ripartire per Casera Razzo, dove arriviamo all’imbrunire. Commentiamo che il cameriere del bar potrebbe essere il gemello del banconiere del Super W di Longarone, stessa barba fulva e gentilezza. Giunti a Casera Razzo, appena il tempo di occupare un posto sul piazzale tra camperisti veneti e californiani tedeschi (californiani perché muniti di un mezzo come il nostro, perché di origine sono proprio tedeschi) e andiamo in perlustrazione nel bosco, ma anche qui i 32° presenti alle 19 non potevano certamente aiutare la crescita di funghi.
A questo punto torniamo al California e apriamo tavolino e sedie per far fronte ai primi attacchi di fame e sete. Sconfiggiamo il nemico in un’oretta, esterrefatti dalla meraviglia del tramonto, e poi, bevuto il caffè, ci immergiamo nel montaggio dell’attrezzatura per le foto astronomiche della nebulosa. Osservo Paui estrarre dalle confezioni i pezzi del telescopio e provo ammirazione per lui. Sono elementi molto costosi e lui li movimenta e assembla con pazienza certosina. È una cosa meravigliosa, per me che l’unica cosa che estraggo da una scatola sono le scarpe da calcetto al giovedì sera. Treppiede, motore del telescopio, telescopio, macchina fotografica, computer del telescopio, alimentazione, cellulare e tablet per comunicare col computer del telescopio. Tutti elementi la cui perfezione dipende da quella di tutti gli altri, un gruppo di moschettieri hardware/software, “uno per tutti, tutti per uno”.
Spiego in breve sperando di non cadere in cialtronerie: la macchina deve fotografare oggetti distantissimi e poco luminosi. Per far questo si fanno foto successive con esposizione molto ampie, anche di mezz’ora. Poi tramite apposita applicazione si media il risultato di ogni foto da mezz’ora, ottenendo così una fotografia che è una “media delle medie” di tutto ciò che è stato impresso, o meglio memorizzato perché stiamo lavorando in digitale. Importante: dovendo procedere con una fase di apertura così lunga dell’obiettivo della macchina fotografica, bisogna far sì che il telescopio (a cui è applicata la macchina) segua il moto terrestre, pena l’ovalizzazione dei corpi celesti. Così ci si tara su stelle di riferimento che devono rimanere sempre nello stesso punto del campo fotografico inquadrato. Cioè, il motore si preoccupa di fare lo stesso percorso che la terra sta facendo, “corre dietro alle stelle”. Finite tutte queste operazioni, solo centratura e prove richiedono oltre mezz’ora, siamo pronti ai primi scatti, ormai la mezzanotte è prossima. Ma all’improvviso, dopo giorni di tempo perfetto, ecco dapprima le prime velature e poi vere e proprie nubi. Allora Paui, mantenendo una calma eroica, dirotta il focus della serata sul fare brevi foto per mostrarmi alcuni oggetti celesti, abbandonando il progetto di fare una unica mega foto alla nebulosa che aveva deciso di fotografare. Il tutto alternando alle astrofoto alcuni goti di rosso. Il risultato lo si può vedere qui sotto (la galassia di Andromeda, M31 e le sue vicine M32 e M110) e tenete conto che è un piano B sia come soggetti che come, soprattutto, esposizione (sono tutte foto da tre/cinque minuti, non di più).
Fortunatamente l’applicazione Lightning del tablet ci avverte che nei dintorni s’aggirano temporali (vediamo i fulmini a nord est, verso l’una di notte, quando tutti i vicini camperisti sono a nanna da un paio di ore): così smontiamo l’attrezzatura e andiamo a coricarci dopo aver finito il vino.
Io mi accomodo nel lettino superiore posto nel tettuccio estensibile, Paui al piano di sotto. Paui in anni di furgone non è mai riuscito a dormire sotto il tettuccio coccolato dal rumore della pioggia sul tendino estraibile mentre a me la cosa riesce al primo colpo. Paui invidia la mia buona sorte, così al mattino per farmi perdonare gli offro una eccellente fetta di torta al rifugio “Fabbro” e poi scendiamo per tre ore di camminata nei boschi, dove constatiamo la quasi assenza di funghi (qualche porcino, qualche finferlo). Del resto di notte ai 1800 metri di Casera Razzo c’erano 16°! Dopo la faticosa camminata scendiamo in furgone a una vecchia colonia abbandonata sotto Laggio Cadorenho a finire salame, pane e formaggio (e birre), quindi ripartiamo per il rientro a casa.
All’altezza di un importante bivio chiedo a Paui di fare una deviazione per Tai di Cadore dove fotografo la vecchia caserma degli Alpini. Voglio ritornarci per ridestare i ricordi di quando accompagnai un mio carissimo amico a marcare visita per il prolungamento del suo congedo per SAD, avevo 18 anni: io lo aspettai per tre ore al bar del cinema porno fronte caserma, potendo studiare decine di avventori mattutini del locale. Che fauna! Al rientro di notte alla stazione di Vicenza (perché da Tai c’era la corriera per Calalzo, poi il treno per Belluno, poi il cambio per Padova e infine quello per Vicenza, insomma, un’epopea) avevamo avanzato un goccio di whisky nella bottiglia che ci eravamo portati per il viaggio. In quel mentre passò davanti alla stazione un amico comune che si era preso a piedi col Ciao. Rabboccammo il serbatoio e riuscì ad arrivare fino a casa a San Lazzaro. Ora che ho fatto questa esperienza astrofotogafica grazie a Paui, so che è più semplice alimentare un Ciao Piaggio a whisky che fotografare stelle!
Paolo “Paui” Adami, accompagnatore di media montagna presso Collegio Guide Alpine Veneto – Accompagnatori di Media Montagna
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“Vieni a fare un giro?” è il nome bizzarro che Paolo Adami ha dato alla propria pagina Facebook/Instagram con cui si interfaccia a pubblico e utenti. Paui è accompagnatore di media montagna del collegio delle Guide Alpine del Veneto; insomma, uno che ti porta in giro a fare trekking di uno o più giorni, che ti accompagna per alte vie e traversate in montagna, che ti organizza le passeggiate in collina, o per i più audaci, che prepara nei dettagli completi trekking isolani. Il tutto viene fatto allo scopo di conoscere il territorio sotto varie sfaccettature, perché Paui ti illustra anche la geologia dei luoghi (essendo geologo di formazione) e l’astronomia, la sua grande passione di sempre.
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