Il 29 ottobre avevo organizzato una domenica di quelle che piacciono a me, piena di cose da fare da mattina a sera.
Abbiamo cominciato presentandoci allo stadio per il derby col Padova alle 12,30 (dai, ho esagerato dicendo da mattina a sera) e iniziando con uno spuntino e due ottimi durelli. Poi abbiamo assistito al riscaldamento da bordo campo (con tanto di messaggi denigratori degli amici presenti allo stadio, tipo “Kioske, esordio al Menti a 51 anni”), quindi ci siamo accomodati sugli spalti.
Stadio pieno, circa diecimila spettatori. Amo il calcio, per cui essere presente è stata una gioia. Il pubblico era variopinto e vedere il Menti così carico ha scaldato il cuore biancorosso.
Poi sono arrivati i tifosi del Padova e gli animi si sono scaldati ulteriormente, è iniziato qualche coro più colorito. Ma del resto qualche scaramuccia tra tifoserie ci può stare, l’ironia è sale, e il sale è vita; l’importante è non sfociare nella violenza.
La partita è iniziata piacevolmente con un Vicenza convinto, lo spettacolo è proseguito con un gioco nel complesso dignitoso. Dopo il vantaggio del Lane, però, è arrivato il pareggio dei biancoscudati, proprio nel finale. Una grande delusione per i tifosi vicentini che ormai vedevano il derby già in bacheca.
Finito il match siamo andati a San Zenone degli Ezzelini, dove alle scuderie di Villa Albrizzi Marini è andato in scena l’inedito teatrale di Vitaliano Trevisan “I crolli di Shakespeare”, interpretato da Livio Pacella.
Conobbi Livio a uno dei corsi di scrittura creativa di Massimo Fagarazzi in cui avevamo alternato all’esercizio letterario anche una infarinatura di interpretazione teatrale. Sapevo quindi che a San Zenone saremmo stati di fronte a una interpretazione drammatica di livello; tuttavia non mi aspettavo un’intensità tale da inchiodarmi alla sedia per tutta l’ora abbondante del monologo. Alla fine, applausi a scena aperta da parte del centinaio di presenti, bravissimi tutti compreso David Caliaro al sound design.
Dopo lo spettacolo pizza veloce per poi recarsi al bar “Al Mondo” di Valstagna.
In un ambiente molto intimo è andato in scena il concerto acustico dei Celpidrum, trio di cui mi aveva parlato l’amico Fabio Maran in uno dei nostri ultimi incontri (Ciao Fabio, ”dovunque tu sia, ovunque io vada, saremo sempre unici”).
La performance è stata un viaggio trasversale tra calde note di pianoforte e violoncello e l’accompagnamento ritmico della batteria. Io e Barbara eravamo seduti frontalmente a Riccardo (violoncello) e lateralmente a Guerrino (batteria). Luca era dietro al piano per cui non lo vedevamo. L’emozione dei passaggi sonori che i tre hanno proposto era evidente nella respirazione di Riccardo, che soffiava impercettibilmente l’aria per mantenere il giusto stato di rilassamento, e nel profilo di Guerrino, primo batterista che ho visto suonare ad occhi chiusi, cercando il colpo singolo e ispirato anziché ripetere un pattern ritmico. Luca, come detto, non ci era visibile ma vuoi che suonasse scapigliatamente o vuoi che si piegasse su sé stesso alla ricerca della propria interiorità, nell’ambiente le sue note arrivavano a fondersi con quelle dei due amici e a soddisfare l’orecchio e l’animo del pubblico presente. Una performance leggera e toccante al contempo.
Rientrando a casa, in auto, con Barbara pensavo alla bella giornata trascorsa, agli spettacoli visti. Uno calcisticamente soddisfacente, l’altro intenso e perfetto, l’ultimo essenziale, rilassante e penetrante.
Solo una domanda mi son fatto, da amante del calcio e della musica e da neofita del teatro.
Perché tre spettacoli dove l’impegno e la passione si presumono uguali, ovviamente ognuno col proprio tipo di professionalità e impegno, hanno una scala di spettatori, numericamente parlando, così diversa?
Alla fine quel che mi resterà maggiormente sarà il goal del Vicenza, la perfezione delle parti vocali di Livio o l’alchimia del terzetto acustico?
Non saprei decidere tra le ultime due.
Eppure la scala di presenze alle diverse performance è dell’ordine di 10.000 a 100. D’accordo, il calcio piace a tutti. Ma c’è veramente questa differenza? Veramente il calcio regala emozioni e soddisfazioni 100 volte grandi?
Forse dovremmo diversificare maggiormente le esperienze. Sono certo che se lo facessimo tutti, una domenica a testa, arriveremmo a marzo con qualche centinaio di presenze in più a San Zenone o Valstagna.
Che non sarebbe sbagliato.
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