“Da così…a così!”
Durante le presentazioni in pubblico del suo ultimo libro dal titolo “IRRIDUCIBILE”, l’autore, il Professor Federico Faggin, qualche volta si rivolge alla platea accompagnando queste parole ad un movimento secco del palmo della mano. Una rotazione veloce del polso il cui significato – almeno noi italiani – conosciamo bene. Esiste un mondo prima e un mondo dopo Federico Faggin? Sì.
I nostri stili di vita sono cambiati con la comparsa sul mercato di un oggettino dalle piccole dimensioni – ma dalle grandi capacità tecnologiche – chiamato microprocessore. Faggin ha sostanzialmente inventato una nuova tecnologia per realizzare i microchip e ne ha anche coordinato lo sviluppo e la produzione, quasi come un pilota di F1 in grado di costruirsi l’auto, guidare in pista e dirigere la strategia di gara. Quella corsa partita negli anni ‘70 che aveva come baricentro due numeri, zero-uno, sta lasciando il passo ad una nuova gara conosciuta da tutti invece per due lettere: “A-I” (Intelligenza Artificiale). Il fisico italiano lancia un allarme: fate attenzione, AI sarà molto impattante, in breve tempo, in ogni attività umana. Lo strapotere delle macchine e della loro espressione sotto forma di AI può diventare problematico e un pessimo compagno di avventura nella gestione dei conflitti sociali e militari. Perché e come si è arrivati di fronte a questo rischio, come prepararsi a questa sfida e quali sono i nostri punti deboli? Sapremo distinguere tra una macchina costruita da noi che finge benissimo di essere senziente e la nostra vera natura umana? Cosa ci distingue da una macchina e come possiamo dimostrare questa differenza a chi sostiene il contrario? Il sottotitolo del libro “la coscienza, la vita, i computer e la nostra natura” ci anticipa dove cercare le risposte.
Vicentino, 82 anni, laureato in fisica a Padova, Faggin vanta un lunghissimo elenco di onorificenze che comprende anche 6 lauree Honoris Causa, la National Medal Technology and Innovation americana e la più alta onorificenza italiana (Cavaliere di Gran Croce). In lizza per l’Italia nella corsa al Nobel della Fisica nel 2010, una lunga carriera negli USA come ricercatore, successivamente a capo di grandi progetti nel settore dell’informatica e dell’hardware, imprenditore di successo…
Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando, contro il parere di suo papà (filosofo), Federico non volle seguire studi umanistici bensì tecnici. Ma quale latino e greco…lui sognava di volare, di costruire un aereo, di pilotarlo, di diventare ingegnere aeronautico! Se parliamo di Sinner come un grande tennista ma anche come un potenziale grande sciatore mancato, sono certo che allo stesso modo l’aeronautica avrebbe potuto avere a disposizione una strabiliante risorsa ingegneristica. Faggin scelse infine la Fisica come studio cardine per la sua carriera ma a distanza di decine di anni le strade di padre e figlio in qualche modo sono tornate ad incrociarsi. In questa che egli stesso definisce la sua “quarta vita” Federico Faggin si rivolge al pubblico nella veste di pensatore, scrittore e divulgatore, parlandoci della correlazione tra mondo esteriore ed interiore, tra scienza e coscienza, tra vita e libero arbitrio, tra simboli e significato.
Questa sua personale versione 4.0 non è stata accolta con entusiasmo da tutto il mondo accademico; divulgare la sua visione del Tutto accostandola alle evidenze della fisica quantistica e all’indeterminismo gli è costata moltissimo ma a chi lo indica come un “eretico” egli risponde che a ben pensarci il mondo lo hanno cambiato gli eretici.
A chi invece guarda con interesse alla sua teoria e gli chiede quando quest’ultima potrebbe essere presa in considerazione dalla Scienza risponde che potrebbero servire decine di anni, forse secoli. Esattamente come già successo in passato per molti suoi eretici predecessori. Oppure, forse mai.
Nel libro, che ricorre spesso ad acronimi, sigle e termini in inglese, la tesi sviluppata da Faggin verte su concetti di fisica e matematica qualche volta complessi e altre volte inspiegabili come ad esempio l’entanglement. Le spiegazioni tecniche a corredo sono inevitabili ai fini dello sviluppo del pensiero e delle motivazioni ai ragionamenti o alle conclusioni. Vengono in aiuto abbondanti paragoni ed esemplificazioni, ma l’approccio al testo richiede una certa conoscenza o quantomeno una certa propensione alla terminologia tecnica.
“Irriducibile” (Mondadori – 2023) è un libro che, devo ammetterlo, mi ha richiesto molta concentrazione nella lettura, in alcuni passaggi l’ho trovato tosto, termine forse improprio e soggettivo. Non è mia intenzione fare una recensione vera e propria, pensate l’ironia di ridurre in poche righe un libro che si intitola Irriducibile. Vorrei invece prendere spunto per qualche collegamento e qualche punto di vista personale, le ragioni per le quali ne parlo.
Per esempio: mi affascina l’idea che dal confronto con un testo ne possa uscire rafforzato nelle mie convinzioni oppure le possa mettere in discussione (chissà se qualcun altro condivide questo pensiero). Avevo sentito parlare di questo libro e del precedente “Silicio” solo grazie a commenti e recensioni trovati in rete in modo casuale. Fin da subito avevo notato due fronti nettamente contrapposti di valutazione (in questo caso parliamo di valutazione dei contenuti, non dell’aspetto letterario vero e proprio). Anche ciò che crea divisione stimola la mia curiosità. Sentivo infine un timoroso rispetto verso la sua figura di scienziato, data la mia cultura scolastica tecnica e il mio percorso professionale. Per molti anni mi sono occupato di apparecchiature elettroniche vivendo sul campo il passaggio dal mondo analogico al digitale, sapevo bene quanto pesava quel nome sulla copertina.
Se volessi fare un confronto – lo faccio, sono qua per sperimentare, no? – potrei paragonare il suo apporto alla tecnologia pari al peso che hanno avuto le creazioni di Leo Fender, Lester Polfuss Les Paul e Robert Moog nel mondo della musica moderna. Strumenti che hanno cambiato per sempre un certo modo di “fare” musica e che hanno ispirato generazioni di musicisti. Leggere questo autore mi ha fatto sentire quasi sotto esame, un pochino come se un perplesso Les Paul mi invitasse a suonargli qualcosa con la mia modesta Sheraton II e si accertasse pure se fossi in grado di sfruttare al meglio i toni del pickup al ponte. “Paura, eh?” direbbe il buon Lucarelli di Blu Notte.
Ritorno al gesto del palmo della mano, consideravo cosa pensano gli stranieri di noi italiani quando gesticoliamo. Porto un esempio, nel film “House of Gucci” Lady Gaga e Jared Leto interpretano la parte degli italiani gesticolando in modo fin troppo evidente, anche in modo imbarazzante. Stereotipi, direte. Così come in generale quando nei film stranieri ambientati in Italia sta per accadere qualcosa di tragico parte sempre in sottofondo un’aria lirica dell’Opera. Sembra che il Do di petto faccia scattare lame a serramanico e partire colpi di fucile a canne mozze.
Pazienza, anche noi non siamo da meno con gli stereotipi, siamo cresciuti a barzellette dove c’erano un francese, un tedesco, un inglese e un italiano. Esistono stereotipi culturali secondo i quali viene messa in correlazione la gesticolazione con l’ignoranza, e una certa parte del “nord” mondiale accademico (minoritaria e poco considerata, fortunatamente) identifica la gesticolazione come qualcosa da stigmatizzare. Una delle sciocchezze più grandi in circolazione. Evidentemente in Italia tale stigma non esiste fatta eccezione per la gestualità considerata oscena, parte della quale è paradossalmente di importazione (se siete curiosi su questo argomento vi raccomando Tullio Telmon “La gestualità in Italia” )
Ma se penso ora al valore di un gesto nella conversazione e al suo significato, mi convinco che anche questo è uno dei tanti modi di trasmettere e ricevere informazioni diverso dalle macchine. Noi riconosciamo nei gesti un significato che è qualcosa di più che il gesto stesso. Pensate ad un abbraccio di un amico in un momento di sconforto. Esattamente come nelle immagini, nei suoni, nella musica e nei profumi riceviamo e trasmettiamo qualcosa che va ben oltre gli stimoli elettrici al cervello.
“…ll sapore del vino, il profumo di una rosa…”
Che combinazione, penso. Anche uno dei miei libri preferiti dello scaffale “vini” inizia con la citazione di un fisico – il geniale Richard Feynman – che parla di profumi e di vino!
Mi piacerebbe aggiungere qualcosa al pensiero di Feynman. Mentre osserviamo il calice siamo solo osservatori e spettatori, anche misuratori in qualche modo, ci creiamo delle aspettative ed elaboriamo un pensiero, il colore e il profumo e la consistenza del vino ci chiamano a fare un gesto naturale, lo degustiamo e completiamo totalmente l’esperienza, ne facciamo parte, diventiamo qualcosa di diverso, una specie di piccolo sistema olistico. Esperienze da ripetere con moderazione e mai prima di mettersi alla guida, mi raccomando.
Forse ci sono riuscito. Saltando di palo in frasca forse ho saltato l’ingresso dei labirinti della spiritualità, delle domande assolute. Ma non posso nemmeno far finta di non avere “cuore, testa e pancia“. Concludo pertanto questo viaggio condividendo il fatto che la Scienza ci rende felici delle risposte ma ci presenta successivamente nuove domande, sempre più complesse. Come il gioco delle porte, ne apri una e ne trovi altre dieci chiuse. Quali porte aprire e come deciderne la sequenza di apertura? Con quali presupposti scegliere una strada e ignorarne un’altra? Le domande hanno senso perché la Scienza ha dimostrato poca flessibilità e scarsa capacità di riconoscere ed applicare le scoperte e le teorie rivoluzionarie quando sono in contrapposizione con le scoperte conclamate; è davvero difficile mettersi in discussione. La correlazione in termini matematici della coscienza e del libero arbitrio crea pertanto un certo imbarazzo per quella parte della Scienza che non accetta a priori l’esistenza di un Mistero e che ci vuole assimilare a macchine deterministiche e algoritmiche.
“Non esiste nessun principio fisico noto che possa tradurre in sensazioni o sentimenti l’attività elettrica nel cervello o in un computer” (F.Faggin)
No, non siamo solo ammassi di miliardi di atomi e decine di trilioni di cellule.
L’evidenza che non siamo macchine esiste in ciascuno di noi. Esiste nei nostri pensieri, nelle emozioni, nelle sensazioni e nei sentimenti, fenomeni che nessuna macchina possiede. Gandhi amava dire “non ho bisogno di andare lontano a cercare la grotta sacra, la porto dentro di me“
Tratto dal libro Irriducibile
La scelta se credere di essere delle macchine, comportarci come tali e di prostrarci di fronte alla superiorità della IA è nelle nostre mani. Possiamo scegliere noi se cambiare le cose, sarà sufficiente chiederci chi siamo, per cambiare tutto.
Da così a così.
http://www.fagginfoundation.org/it/http://www.fagginfoundation.org/it/biografia/
https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Faggin
https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Faggin#Onorificenze
https://www.regione.veneto.it/article-detail?articleId=369016
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Davide Moressa ”Alien” – Sommelier appassionato di Vino e del mondo che lo circonda –
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