Quali sono i quattro pilastri su cui si fonda la vostra personale cultura cinematografica?
A quali titoli affidereste la missione di sostenere il peso dei capolavori che mettereste in cineteca?
Non so esattamente cosa mi abbia spinto a frequentare un corso di doppiaggio.
Mi alimento di TV a piccolissimi bocconi, ho visto pochi film, nessuna serie televisiva, e da quando i figli sono grandi non vedo più nemmeno cartoni animati. Però che belli i tempi di Robin Hood e de Gli aristogatti!
Non è che debba giustificarmi per questa inappetenza da pellicola, tuttavia se devo analizzare le motivazioni di questa apatia per il grande schermo, devo dire che semplicemente preferisco fare una camminata, cantare sul tapis roulant, scrivere. O guardare una partita di calcio.
Lo so, lo so, è un peccato perché il cinema e i cartoni animati sono stupende ed elaborate forme artistiche; lo so benissimo. Tuttavia è normale che ognuno abbia personali preferenze e nella mia sensibilità fanno breccia la musica e la scrittura.
Ciò non toglie che a volte scatti il rapimento, ci sono pellicole che guarderei cento volte: quali sono i pilastri su cui fonderei il basamento del mio bagaglio cinematografico?
Presto fatto: “The blues Brothers”, “Duel”, “Io sono Li”, “Una notte da leoni”, “Il buono, il brutto, il cattivo”, “Mediterraneo”, “C’è ancora domani”, “Il piccolo diavolo”. Basta, chiudo qui se no, concentrandomi, ne aggiungerei altri.
Tuttavia il dato di fatto è che le mie ore di fruizione di film non superano quelle di religione alle medie.
Un altro dato di fatto è che nei miei titoli preferiti ci sono pochi effetti speciali. Non vado matto per i film d’azione, la fantascienza, i supereroi, i film di guerra, i film storici. Concludo: non sono certo un esperto cinematografico, il mio campo d’azione come spettatore è troppo limitato.
E perché, allora, mi sono iscritto al corso di doppiaggio 1 organizzato dal centro di formazione teatrale For.the di Vicenza e tenuto dal docente Daniele Berardi?
Caspita, che domanda lunga.
Per ridare equilibrio, risponderò in breve. Lo farò con un semplice nome: Pietro.
Ma tornerò dopo, su Pietro; sì, tornerò proprio indietro, come dice il detto annesso al nome.
Perché per ora voglio parlarvi del corso.
Prendo spunto dal sito di presentazione dell’organizzatore https://www.theama.it/corsi/, che spiega: “Il doppiaggio è un’arte nascosta ma fondamentale. La recitazione di un attore/attrice si sovrappone e aderisce ad un volto che recita in una lingua diversa, e ci permette di fruire con immediatezza di un’opera cinematografica straniera.”
Fin qui, oltre ad aver capito che il doppiaggio è solo una porzione della cinematografia (ma legata a doppio filo con essa) abbiamo anche realizzato che dei film che ho elencato sopra solo quattro su otto sono stati doppiati: quelli stranieri.
Al corso abbiamo affrontato la teoria sulla dizione e sulla pronuncia (che noi veneti dobbiamo coltivare bene; anzi, per l’appunto: bène), abbiamo praticato tecniche di rilassamento e di preparazione della voce, parlato di vocalità, timbri e capacità emotiva; ma ciò che ricordo con maggior appagamento è la parte finale del corso, quella che vedeva noi corsisti in piedi, nel teatro buio.
Un paio alla volta, di fronte a due leggii illuminati da piccole lampade, appoggiavamo all’orecchio la cuffia mono auricolare e ascoltavamo l’audio in lingua originale dell’anello (così è detta una unità di doppiaggio, cioè un segmento di registrazione) che veniva proiettato sul grande schermo del palco.
Seguivano due o tre visualizzazioni per permetterci l’osservazione del mood generale della scena, dei caratteri dei personaggi e dei tempi dell’anello, la memorizzazione del dialogo.
Intanto respiravamo profondamente, in cerca della calma, della precisione, del piccolo dettaglio espressivo che poteva fare la differenza.
A un certo punto, il tecnico del suono Stefano annunciava: “registriamo”.
Iniziava la nostra breve performance. Pochi secondi condensati, in cui cercare di essere il meno invasivo possibile, il più naturale rispetto a personaggio ed azione, pur con un tocco di personalità. Perché alla fine, anche se è un lavoro difficile e che richiede grandi competenze, l’idea che mi sono fatto è che un buon doppiatore è come un buon arbitro di calcio: non deve farsi notare, pur col suo stile.
Devo dire che è stato molto interessante affrontare le tematiche di dizione tanto scomode a noi veneti, capire che storpiamo accenti come bambini dispettosi e che esiste un sito (https://dizionario.rai.it/) che si occupa di battezzare le corrette dizioni del vocabolario italiano.
DOP, questo il nome del sito della RAI, ovvero Dizionario italiano multimediale e multilingue d’Ortografia e di Pronunzia. DOP come un formaggio, come un salame, come un prodotto che ha una forte radice locale la cui origine merita una precisa identificazione e protezione. DOP con la O stretta, perché acronimo di origine. DOP come lo direbbe un sardo.
È stato interessante, per tutti noi corsisti, abbandonare la propria zona di comfort. A volte ci siamo riusciti, altre volte meno. E allora è curioso capire come, a seconda dei caratteri, il pacifico fatica a fare scene spiritate, il serio fatica a fare scene spiritose, e così via.
Daniele si è dimostrato insegnante capace, pieno di attenzioni e aneddoti da raccontare.
Insomma, il corso, anche se non so perché ho deciso di farlo, è stato interessantissimo, mi ha avvicinato al cinema, ai suoi attori in scena a agli “attori” nascosti (appunto, i doppiatori), mi ha fatto conoscere persone interessanti. Persone, tra l’altro, preparatissime: sapevano gran parte dei dialoghi, conoscevano i film da cui venivano estratte le scene da doppiare, attori, registi…e perfino doppiatori!
Insomma, un’esperienza che rifarei.
A proposito, perché ho fatto questo corso? Avevo promesso di tornare su questo discorso. Il motivo è sempre uno: Pietro.
Spiego: quando nel 2022 presentammo il mio secondo libro “Pane & Oppi” col gruppo di persone che avevamo appositamente formato, la prima la tenemmo alla premiata forneria Bari di Arcugnano. La scelta della location fu naturale visto che parte del romanzo si svolgeva all’interno dello stesso forno storico e visto che si parlava sia del suo titolare Lorenzo Bari, sia della “Compagnia de la Caretela”, un gruppo di artisti (tra cui il pittore bolognese Ubaldo Oppi) che si riuniva alla Nogarazza negli anni trenta del secolo scorso.
In quell’occasione le letture degli estratti del libro vennero affidati a un attore teatrale che poi ebbe impegni personali per cui dovemmo sostituirlo per le presentazioni successive.
Grazie a una serie di conoscenze e contatti, mi sentii con un giovane attore della compagnia Theama Teatro di Piergiorgio Piccoli, l’associazione culturale che tramite il centro di formazione For.The organizza corsi di recitazione teatrale, corsi di doppiaggio, corsi di improvvisazione teatrale e altre attività annesse.
Ricordo ancora il momento in cui lo sentii leggere gli estratti per la prima volta. Complici le sue frequentazioni ai corsi di teatro e di doppiaggio, e ovviamente una naturale capacità, quando Pietro Casolo lesse i primi estratti mi sentii…letto, per l’appunto. Intendo letto dentro. Interpretò i pezzi da me scritti con una tale naturalezza, padronanza, profondità, simpatia, che fu come se qualcuno mi stesse eviscerando. È una sensazione strana da descrivere. Potrebbe forse accadere similmente allo sceneggiatore che vede interpretare un proprio lavoro meglio di quanto avesse in mente o a un musicista che ascolta una cover di un suo pezzo e la preferisce alla propria versione originale. Ma questo riguarda la qualità della sua lettura. Quello che veramente mi fulminò fu la sensazione che egli ci vedesse dentro, come se fosse amico di lungo corso, confidente, psicologo, artista, figlio.
Potrebbe esserci troppa enfasi nei miei pensieri; ma in ogni caso Pietro Casolo è il motivo per cui mi sono iscritto al corso di doppiaggio, e questo è dato di fatto, non è pensiero. Mi sono iscritto perché vorrei saper leggere e interpretare come lui, perché ambirei a lanciarmi in letture catalizzando l’attenzione, perché la lettura è la normale proiezione di ciò che mi piace fare, scrivere. Lo so, non ci arriverò giammai, Pietro è troppo bravo e come recita il modo di dire “bisogna lasciare a ognuno il suo”; infatti sto parlando di motivazione e non di obiettivo.
Nel frattempo mi sono reso conto che ho mentito: una serie televisiva l’ho vista, ed ero anche molto piccolo. Che meraviglia “Le avventure di Pinocchio” di Luigi Comencini!
https://www.youtube.com/watch?v=R9BpKc1VYjw
https://it.wikipedia.org/wiki/Film_con_maggiori_incassi_nella_storia_del_cinema
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