A cura di Francesco Sattin & Davide Moressa
“Il mattino è bello frizzantino, come un euganeo bicchiere di Serprino”
Ho fatto la rima, mi son svegliato di buon umore e mi sento gran poeta, “ma non c’ho la camicia di seta” (quanto mi manchi caro Freak Antony). Sono in viaggio con Davide per effettuare una visita a una storica azienda vinicola in veste di ospiti, diciamo così, privilegiati. La visita alla cantina Firmino Miotti era nei nostri progetti da tempo, poi recentemente Davide ha avuto occasione di conoscere Franca Miotti in una delle serate di degustazione al ristorante “Al Cacciatore” di Tonezza (potete leggere un precedente pezzo a questo LINK) e concordare con lei un appuntamento in una mattinata infrasettimanale. Potremo parlare con Franca a ruota libera e senza le incombenze e i ritmi frenetici degli incontri collettivi come mostre mercato, fiere, degustazioni guidate o presentazioni formali.
In auto, direzione Breganze, Davide mi racconta del mitico signor Firmino, energico ultraottantenne che tuttora si accaparra una parte di produzione del suo Pedevendo. “Producono poche migliaia di bottiglie all’anno di Pedevendo, ma che a me risulti, come minimo 365, una al giorno, sono prenotate per Firmino. Per uso personale”. Queste due parole ci fanno sorridere, sembra si parli di consumo terapeutico di vino da uve rare e autoctone rifermentato in bottiglia. Data l’età e la vigoria di Firmino, lo abbiamo visto raggiante sul palco della festa del Torcolato, valutiamo anche noi di prendere questa abitudine. Il pensiero corre alla nostra vita professionale di ufficio dietro a una scrivania e su sedie girevoli, anziché nei campi all’aria aperta con qualsiasi tempo e temperatura, e torniamo con i piedi per terra.
Non possediamo la tempra per sostenere una terapia identica.
E nemmeno i campi.
Arriviamo presto ai meravigliosi vigneti sopra Breganze ampiamente descritti da Virgilio Scapin nel suo libro “I magnasoète”. Visele, visele, visele in ogni dolce pendio. Una grande croce, eretta nel 1945, domina il paesaggio dall’alto. Ho subito ammirato la bellezza di queste colline e inconsciamente ho cercato la presenza della sieresara (il ciliegio) descritta coloritamente da Scapin nelle prime pagine dell’opera, in un godereccio episodio della vita d’un tempo. Parliamo degli anni di gioventù di Firmino Miotti e di un libro che costituisce una delle colonne della vicentinità storica e letteraria. Firmino rappresenta nel libro il simbolo della solidità della gente di campagna che nel dopoguerra lavora assiduamente godendosi pienamente i momenti di diletto e comunità. Una necessità così forte, quella di prendersi le rare soddisfazioni che la dura vita poteva regalare, che non c’era nulla che potesse fermare l’impeto di accaparrarsi quel qualcosa. C’era primordiale e umana necessità in alcuni comportamenti.
Ma da quelle pagine emerge anche la resistenza di Firmino all’incedere dei tempi moderni, nulla in contrario contro il progresso, per la difesa della sua terra; non dovevano toccare i suoi vigneti, il Gruaio, il Pedevenda “…cambia tuto Firmino, cava via chel Pedevendo, cava via el Gruajo! Metti e visele che te dise la Sociale, i te paga ben, te fe manco fadiga e te ciapi più schei…“, dicevano i suoi compaesani. Ma Firmino, invece, guzzava i cani a quelli della Cantina Sociale…che se lo facessero da soli il vino, non con le sue uve. E se oggi siamo qua a parlare con la figlia Franca di vino, di uve e vigneti speciali, di Breganze, di territorio, di tradizione, lo dobbiamo anche a quella resistenza.
Qualche minuto dopo il nostro arrivo ci viene incontro il cane di famiglia, un bellissimo cocker che ci ha accolti con dolce curiosità (si chiama Cuvèe!). Si vede che è un cane cresciuto nell’affetto. Subito appresso, ecco giungere Franca, che ha gentilmente interrotto il suo lavoro per stare con noi. Per questo parlo di privilegio. Franca è in abito da lavoro e presenta un leggero e simpatico graffio sul viso dovuto certamente a qualche accadimento in vigna o in cantina. Mi rendo conto che noi di città viviamo talmente in una campana di vetro che anche un piccolo segno di manuale operosità ci pare strano. Ci presentiamo e, non ricordo per quale motivo, iniziamo a parlare delle incombenze e degli obblighi a cui sono assunti gli operatori del settore. Decine di leggi e norme che legano le mani di chi lavora la terra, altrettante centinaia di scartoffie che, come carta assorbente, prosciugano ettolitri di vino. Dietro a queste carte si nascondono le lunghe e avide mani della burocrazia nella forma di sanzioni economiche. Si parla di sanzioni con cifre a tre zeri, spropositate per piccole realtà dove ci si divide ogni giorno tra campo, cantina e ufficio, realtà che nulla hanno a che spartire con le mega cantine dove, anziché la buona Cuveèe, vieni accolto da personale che nel biglietto da visita riporta tre o quattro parole inglesi, seguite dall’ultima, immancabile: manager.
Con Franca parliamo di altri aspetti che circondano la realtà di una piccola cantina, di vino si parlerà solo dopo. Breganze è in espansione, sia economicamente che dal punto di vista demografico, eppure resta ancora un territorio molto legato all’agricoltura. Tuttavia ho notato dal sito dell’istituto Scotton che non c’è un indirizzo sperimentale di agraria, ci sono solo grafica, meccanica, meccatronica; e infatti, oltre che dei vincoli burocratici, finiamo a parlare anche delle più concrete difficoltà nel trovare personale. Dove possono attingere le cantine per assicurarsi le prestazioni di capaci agronomi ed enologi, oppure di manodopera qualificata o di persone semplicemente desiderose di imparare? In questo settore è molto frequente che i pochi nomi conosciuti e con esperienza preferiscano sfruttare l’appeal italiano per tentare la strada della carriera lavorativa all’estero, maggiormente retribuita. Sentiranno la nostalgia del Belpaese o avremo perso per sempre queste risorse? Vinceranno l’orgoglio e la voglia di dimostrare il proprio valore nella terra natia, o avranno la meglio i schei foresti?
Ci spostiamo negli ambienti più caratteristici della cantina vera e propria. Siamo in un fresco ambiente ricco di bottiglie dai nomi fantasiosi e dalle etichette variopinte; quando Franca ci racconta che delle 3500 bottiglie di Pedevendo prodotte, circa un migliaio sono per autoconsumo familiare (ben oltre le 365 e che già rappresentavano un bel target) ridiamo di gusto. Altro che una al giorno, il modico consumo è un dato soggettivo e la terapia è diventata terapia di gruppo!
Infine, un passaggio in bottaia; i discorsi virano sulla associazione Fivi (avevamo incontrato Franca anche alle Fiere-Mercato Fivi).
Il marchio che raccoglie e identifica chi segue tutta la filiera, dalla cura della vigna, alla produzione del vino, fino alla vendita, è un simbolo stilizzato di un vignaiolo che porta un cesto d’uva sulla testa. Si chiama Ampelio. Franca ha visto nascere e crescere questa associazione, ha partecipato a molte manifestazioni, e non nasconde una certa nostalgia per lo spirito di appartenenza che legava il nucleo storico degli associati e contraddistingueva le prime manifestazioni. A suo avviso quella voglia di partecipare per condividere gli obiettivi, per capire l’uno dell’altro, scambiare esperienze e per creare un fronte comune contro la burocrazia, sta lentamente perdendo forza lasciando prevalere più semplici logiche commerciali. La speranza è che ovviamente lo spirito originario prevalga e io e Davide siamo convinti che sia così, abbiamo visto con i nostri occhi come molto spesso i “vicini” di banco delle mostre, in qualche momento di pausa, si scambino calici dei rispettivi vini degustandoli ed esprimendo opinioni.
Il nostro incontro volge al termine. Ci resta un’impressione molto positiva di Franca, del suo operato e dello spirito che ci sta dietro. Firmino ha contribuito a formare la radice culturale di questo territorio, esattamente come la storia di Breganze ha cresciuto Firmino. Le colline hanno protetto l’uomo dalle tempeste quanto l’uomo ha protetto il suo territorio, anche decidendo con quali colture arricchirlo. Ma oggi non è di Firmino Miotti che volevamo parlare, egli gode di storia propria.
Ciò che la gente non vede sempre è la bravura onesta e laboriosa dei figli. Quando i diretti discendenti di famosi sportivi iniziano a muovere i primi passi in un campo di gioco o quando figli d’arte (pittori, musicisti, scrittori, attori) presentano al pubblico le loro prime opere, il pensiero di tutti va innanzitutto ai loro predecessori, come se perseguire i passi dei genitori fosse un limite, un difetto. Quasi una colpa da espiare. Sembra che i figli d’arte non possano usufruire del tempo necessario per crescere, evolversi. Franca non ha creato da zero, ma ha imparato in silenzio, ha studiato molto e sta dimostrando il suo valore. I figli vedono e studiano i genitori: riconoscono dove hanno fatto centro, memorizzano dove hanno cannato. E riassumono. Distillano il meglio dell’esempio che hanno ricevuto. Se lodiamo giustamente i creatori di qualcosa, dobbiamo anche riconoscere la grandezza di chi ha continuato, talvolta giungendo a risultati così inaspettati da sorprendere e meravigliare.
Franca Miotti sta portando avanti un’azienda che offre grandi prodotti del territorio pedemontano vicentino con amore, dedizione, capacità, concretezza, con rispetto della tradizione e lo sguardo rivolto al futuro.
I prodotti che offre oggi la cantina parlano chiaro.
I suoi due graffietti sul viso sono un adorabile segno di combattività felina.
ANIMA – BREGANZE VESPAIOLO SPUMANTE – Pas Dosé
Tra tutti i vini della produzione Firmino Miotti, inizio proprio dalla creazione di Franca; ha lavorato molto per raggiungere questo obiettivo, i risultati e le soddisfazioni stanno arrivando, stelline, punti, cuoricini delle varie guide di settore sono sempre molto alti. Se il cuore enologico di Breganze è il Vespaiolo, stavolta Franca ci sorprende con un metodo classico Vespaiolo100% che ha introdotto un nuovo standard nella tradizione del territorio. Proposto ad oggi nelle versioni 36-48 mesi con fermentazione e affinamento in acciaio, dosaggio Zero, per questo vino Franca ha anteposto a tutto la scelta ed il posizionamento delle vigne sul versante collinare meno soleggiato in modo da calibrare al meglio tutti gli stadi delle maturazioni per raggiungere l’obiettivo enologico. Il cambiamento climatico comporta facilmente alta concentrazione zuccherina, mentre l’attenzione in questo caso è verso le durezze e la freschezza del vino, cercando di mantenere sotto controllo anche il titolo alcolometrico.
Giallo paglierino, profumo intenso ed elegante di frutta a polpa bianca e note agrumate, note erbacee, al palato offre una spiccata freschezza e una buona persistenza. Ho potuto degustare Anima con due abbinamenti azzeccatissimi qualche giorno prima dell’incontro in cantina e che ripropongo: crostino con trota salmonata affumicata a freddo della Val D’Astico e finocchio marinato all’arancio con mozzarella di bufala. Novità in arrivo a breve: sale l’attesa per la versione di Anima 60mesi, 100% della fermentazione e affinamento svolto per 7 mesi in barriques di acacia; per ora restiamo con la curiosità sperando di soddisfarla al più presto con una degustazione.
PEDEVENDO – AUTOCTONO – BIANCO FRIZZANTE SUR LIE
Il nome del vino deriva dal vitigno (uva Pedevenda). Virgilio Scapin ne parlava raccontando come il nome derivasse dalla dizione modificata dei termini latini che descrivevano queste zone come battute dal vento; è pur vero che il nome richiama anche una zona degli Euganei, ma per ora ci si deve fermare a questa assonanza. Ad oggi non risulta che nella zona degli Euganei quest’uva sia mai stata coltivata. Non se ne è mai trovata traccia, salvo un vitigno simile ma con un nome (Verdisa) che al suono, anche in questo caso, ricorda un altro vitigno, tipico di Conegliano. Conosco bene Via Pedevenda e anche il monte Venda (gioco in casa) ma tutto fa pensare ad una omonimia dove parole con lo stesso etimo o grafia sono utilizzate in ambiti geografici diversi; ne esistono molte altre nella toponomastica veneta e non solo veneta. Il Prof. Mazzetti, riferimento assoluto per la toponomastica euganea, ricorda infatti che è la colorazione bianca della gobba riolitica del Venda che ha dettato il nome del monte, derivante dal celtico-gallico “vindo” oppure “vendo”, che significa appunto colore bianco. Colore quest’ultimo che poco ha a che spartire con lo scuro basalto delle colline vulcaniche di Breganze oppure l’opaco basalto colonnare che si trova anche nella dorsale berica e in Lessinia. L’uva Pedevenda, dopo le analisi del DNA, è stata riconosciuta dalla Regione Veneto come caratteristica e tipica di Breganze e non può (o sarebbe il caso di dire non potrebbe?) essere allevata fuori da questo territorio. Pedevendo è un rifermentato in bottiglia (sur lie, col fondo, ancestrale, anche se quest’ultimo termine preferisco non utilizzarlo molto in quanto non è ancora universalmente codificato e apre a diverse interpretazioni). Alcuni preferiscono degustarlo limpido, lasciando i lieviti fermi sul fondo, io invece raccomando la mescita dopo un veloce tilt della bottiglia. Temperatura di servizio di 8° (se la giornata è calda anche ad un paio di gradi in meno).
La caratteristica velatura accompagna un vivido colore giallo paglierino, il profumo con note fruttate ed erbacee è sbarazzino ma elegante, una effervescenza piacevole accompagna la degustazione di questo vino ideale per i momenti di socialità e un goto in compagnia, si abbina ad antipasti, primi piatti e risotti delicati, fritture di pesce.
GRUAJO – ROSSO AUTOCTONO – 2021
(Crovaia, Cruara, Cruaja) – Quella “J” che ricorda un nome sudamericano si pronuncia con un fonema tipico della parlata veneta. Per capirci, lo stesso di formaggio, badile, pagliaio (formajo, bajia, pajaro). Anche in questo caso il buon Virgilio ne “I Magnasoete”, e non solo, ci ricorda cosa significasse per Firmino poter avere una vigna tutta sua, originale, inserita nel contesto di una serena rusticità assolutamente normale all’epoca e che oggi declamiamo come biodiversità. L’amato nonno di Firmino aveva capito le potenzialità di questo vitigno rustico, resistente alle malattie, del quale ne erano rimaste poche visele, e si raccomandò di preservarlo. Nonostante la proverbiale tendenza a restare “cruo” (da qua il nome) e maturare in modo poco uniforme è stato piantato a dispetto dei consigli e delle mode del mercato che chiedevano altre varietà. Oggi il Gruajo rappresenta una incredibile peculiarità nel panorama vitivinicolo Breganzese. Ho avuto il piacere di degustare il 2020 e il 2021; il 2021 in modo particolare sembra avere maggior equilibrio; Franca mi ricorda come questo rosso sia un vino che richieda di essere aspettato e mi sottolinea che per la tipologia di produzione (i grappoli devono essere controllati accuratamente per la scelta degli acini adatti alla vendemmia) rispecchia molto l’andamento della stagione. E quindi sono certo che una periodica ripetizione della degustazione nel corso degli anni non mancherà da parte mia! Vino rosso rubino, fermo, secco, al naso richiami di frutta matura e una leggera nota erbacea. Attese rispettate al palato, buona persistenza, un finale leggermente e piacevolmente amarognolo, buona struttura, una leggera trama tannica; questo rosso di Breganze è davvero originale. Un abbinamento: punta di costa di Black Angus cotta al bbq
Se l’articolo ti è piaciuto puoi esprimere il tuo gradimento e seguirci tramite la pagina Facebook degli Alkimysty.
https://www.facebook.com/Alkimysty/
Se volete approfondire vi raccomandiamo questi link
Virgilio Scapin, la vicentinità e altre storie
https://thesis.unipd.it/retrieve/04586916-1ed1-430d-b7c2-8a42adea85cd/CHIARA_PIGATO_2017.pdf
Il sito Web della cantina Firmino Miotti
file:///C:/Users/dm/Downloads/psr_alleg_05_schede_specie_vegetali_rev20082007.pdf: Breganze, Firmino, Virgilio, Franca: il vulcano ha un’Anima.