I SIGNORI DELLA FUSTELLA
Arcugnano, Piazza Rumor, domenica mattina, nuvoloni grigi minacciano pioggia. Quattro ragazzini e un paio di adulti si alzano all’unisono dalle panche dov’erano seduti. Attorno al tavolo della associazione “Signori della Fustella” si è appena conclusa una battaglia a colpi di dadi e segnalini. Uno dei marmocchi ogni tanto alza le mani con le dita a segno di V, che spavaldo, e mostra un sorrisone che sembra uscito da una pubblicità del dentifricio. Alberto raccoglie i pezzi del gioco, sparpagliati sul tavolo, li sistema dentro una grande confezione colorata che ripone sopra una pila di altre scatole. Sono scatole urlanti. I font di stampa, i colori sui coperchi e sulle linguette laterali, le forme, fanno a gara tra di loro a chi fa più baccano. Scorro con lo sguardo la pila verticale ma gli occhi non decidono dove posarsi, è un tira e molla, le pupille si muovono velocemente tra un nome e l’altro, guarda me; no! Guarda me. Resto colpito infine da “Piselli in fila per 6” chiedendomi cosa diamine possa voler anticipare dello svolgimento del gioco un nome simile e cosa passi per la testa a chi lo ha inventato.
Alberto si presenta, ci parla della Associazione che rappresenta (ci sono almeno una decina di associazioni provenienti da tutta la provincia) e dopo pochi convenevoli di rito prende dallo scaffale un cofanetto mignon, dalle dimensioni tascabili. E’ un gioco in scatola, chiaro, però resto un poco perplesso, è piccolo. Lo vedo come un giochino in scatolina rispetto a quello che aveva appena richiuso. “Dai, proviamo questo…Deep Sea Adventure!”. Ancora prima di spiegare le regole, Alberto fa calare i nuovi partecipanti al gioco nel ruolo che devono assumere. “Siete dei palombari. Fate parte di un gruppo di palombari che deve scendere sott’acqua per recuperare dei tesori”.
Questo meccanismo di coinvolgimento funziona bene. Non ho ancora ricevuto una sola istruzione di gioco ma sento già il peso dello scafandro e vedo il luccichio dei tesori sul fondo degli oceani. Monete d’oro, candelabri, dobloni, forzieri, sono ricco.
“La carica di ossigeno a bordo della nave è condivisa da tutti i palombari. Ogni volta che un giocatore recupera un tesoro inizia a consumare più aria. Chi riesce a risalire a bordo con i tesori prima che finisca l’aria è salvo. Quelli che restano sott’acqua sono spacciati. Dopo tre turni vince chi ha accumulato più tesori”. Devo ammettere che tra tante fantasie che mi sono passate per la testa non ho mai pensato in vita mia di fare il palombaro. La figura del palombaro ciclista, inoltre, non è esattamente un mito da inseguire come modello. In poco tempo individuo nelle regole del gioco tanti aspetti che non avevo mai preso in considerazione. Si partecipa consapevoli che si può provare a vincere o rischiare di morire, si gioca con il sogno di poter accumulare ricchezza ma con il rischio di lasciarci le penne. O tutto o niente, non è prevista la camera iperbarica. La lunghezza delle discese ardite o delle risalite sono la conseguenza dei punti sommati al classico tiro di dadi e bisogna anticipare pubblicamente prima della lanciata se il tiro è per salire o scendere.
Domanda – e se finisce l’aria e siamo tutti sotto?
Risposta – è una strategia; potresti fare in modo che non vinca nessuno.
Non lo avevo considerato…far perdere tutti, pur che non ci sia un vincitore. Ci vedo qualche nesso con la vita di tutti i giorni ma adesso devo stare concentrato. Nel giro di pochi secondi siamo in quattro palombari attorno al microgioco sparpagliato ad arte sul tavolo, le ulteriori piccole regole diventano chiare nel giro di poche giocate. Come diventa chiara da subito l’importanza di avere una strategia.
Ci siamo, questo è il punto. Cartoncini colorati, due dadi, pochi altri oggetti, poche regole e molta immaginazione, ma senza strategia non si può vincere o quantomeno diventa molto difficile. Certo, la fortuna è sempre necessaria, i dadi non hanno memoria e il colpo di culo è sempre una determinante significativa per il risultato. Però in una piccola scatolina ho trovato tante cose, la condivisione delle risorse, la scelta tra la discesa verso il colpo grosso e il rischio di scoppiare, oppure la risalita verso la salvezza anche se con pochi spiccioli, gli sguardi di delusione per un lancio di dadi andato a male, la frenesia nelle scelte strategiche mano a mano che diminuiva l’aria. I tre turni finiscono, vince Alberto ma Cristina arriva seconda per un soffio, io sono riuscito a portare in barca solo un doblone, ciao tesori. Per comprarmi un panino e una birra dovrò mettere mano al portafogli e usare soldi veri.
METTI LA X AL CENTRO
(giocare per vincere, per non vincere, o per non perdere?)
Qualche settimana fa in un articolo avevo parlato di un famoso fisico e inventore italiano e della sua preoccupazione che tecnologia e Intelligenza Artificiale potessero diventare a breve il fulcro decisionale del sistema di controllo degli armamenti nucleari. Quarant’anni prima questa stessa apprensione era stata rappresentata al cinema in modo abbastanza semplice ed ingenuo. Eravamo ancora in piena guerra fredda e la tecnologia digitale era agli albori. Nel film “Giochi di Guerra – Wargames” (1983) il ragazzino protagonista, David, appassionato di computer, prova addirittura a fermare la terza guerra mondiale sfidando in un videogioco un supercervellone elettronico. Il vincitore di quella sfida avrebbe deciso le sorti del mondo. Nel caso di vittoria del supercervellone la guerra come igiene del mondo sarebbe diventata una profonda pulizia di primavera con annesso lancio di testate nucleari, da Est a Ovest e viceversa. Tabula rasa. Anche se a dire il vero, a vedere il grafico dei lanci illustrato dai monitor, da queste parti l’avremmo scampata assieme a tutto il sud del mondo, nemmeno preso in considerazione dal bombardamento.
Tuttavia l’entità cattivona digitale, spocchiosa e sicura di prevalere sulla mente umana, concede al ragazzino la scelta del gioco per la sfida, come di solito i boriosi concedono la scelta dell’arma al rivale nei duelli cappa e spada. E fortunatamente David (ma vedi le coincidenze a volte), il nostro eroe, non sceglie Pac-man o Space Invaders, bensì una semplice sfida a Tris.
Tris digitale…ma pur sempre la stessa Tris che si può giocare anche in spiaggia segnando la griglia con le dita sulla sabbia. Perché l’obiettivo di David non è vincere, ma dimostrare alla macchina che si può anche pareggiare o arrivare ad uno stallo. Mettendo la X al centro come prima mossa, David raggiunge l’obiettivo, il computer riconosce l’impossibilità che ci sia un vincitore e i razzi non partono.
Quindi se ne potrebbe dedurre che esattamente come si può giocare per uccidere tutti (come in Deep Sea Adventure) si può giocare anche per salvare tutti. Vorrei aggiungere però che una motivazione molto forte a salvare tutto il mondo proveniva dal fatto che David si era invaghito della bella Jennifer. Forse rischierei di ridurre il tutto a discorsi di cosa tira di più carri e buoi, quindi sorvolo, per ora.
PRISCO, GIRA LA MANOVELLA!
La musica ha suoni ma anche immagini, odori e sensazioni tattili, Francesco ce ne parlava a proposito del mirabolante Juke Box e dei suoi dischi con lato A e lato B assemblati come dei Frankestein ( https://www.alkimysty.com/2023/12/31/piu-vivo-di-noi-ce-solo-fonzie/ )
Un organetto di Barberia non lo vedevo da molto tempo. Con un calice di spritz sopra, non lo avevo mai visto. Prisco gira la manovella, il suono che esce dalle canne in legno è fiabesco e delicato, evoca un tempo antico di uomini in carrozza e donne con l’ombrellino. L’organetto è adagiato in una carrozzina dalle grandi ruote in stile Inglesina. Prisco sparge la sua musica per la piazza spostandosi avanti e indietro. Poi si ferma per aprire uno sportellino e inizia ad armeggiare con le dita schiacciando dei tasti, mi fiondo a chiedergli qualche spiegazione.
Prisco, gentilissimo, ci parla della passione che lo ha spinto fino in Olanda (“son ndà fin aindoven”) per raggiungere un artigiano tra i pochi rimasti in Europa a creare questi strumenti e farsi realizzare questo modello personalizzato. Il sistema di funzionamento prevede che l’aria pompata da un mantice, azionato ruotando una manovella, soffi dentro le canne a diversa foggia. Le canne possono riprodurre in tutto una ventina di note diverse. Due ottave di estensione e qualche diesis. La sequenza delle note in passato era dettata da un rullo metallico, successivamente da schede di cartoncino preforato, oggi invece un piccolo circuito MIDI legge le canzoni da una scheda di memoria e una seconda scheda aziona dei relè che aprono/chiudono le valvole. Una parte elettronica ha quindi sostituito la parte analogica ma il senso dell’oggetto rimane intatto, in fondo tra una istruzione incisa su un rullo ed una in linguaggio binario, non cambia molto.
Parliamo anche di musica: venti note sembrano tante, ma non sono sufficienti a coprire tutti i generi musicali o far suonare le proprie canzoni preferite. Prisco mi chiede infine una cosa che ha il sapore di scommessa: conosci qualcuno che può scrivere canzoni in MIDI sapendo di poter contare solo su venti note prestabilite e diverse tra loro e che riesce, a fronte di questa informazione, a sapere ancor prima di suonarle quali siano le canzoni eseguibili e quali no? Credo sottoporrò il quesito ad un caro amico tastierista. Ci salutiamo, la carrozzina si allontana.
Prisco gira la manovella, torna a far suonare la musica, la colonna sonora di un tempo che non c’è più, la piazza si riempie di colori pastello e profumo di zucchero filato.
NOI SIAMO FIGLI DELLE STELLE
Questo incontro nella bella cornice della piazza prevedeva la partecipazione anche di una associazione locale di astrofili, il gruppo “Giorgio Abetti”. Massimo Zancan (nella foto) era a disposizione di chiunque chiedesse informazioni e chiarimenti in merito alle scienze astronomiche. Tutti i martedì l’associazione organizza degli incontri per aiutare i curiosi di questa scienza a comprendere la volta celeste, per divulgare tutte le informazioni in merito alla osservazione degli astri, anche per spiegare come scegliere uno strumento. Nel volantino che mi consegna leggo una frase molto convincente: “se l’universo ti affascina e vuoi esplorarlo insieme a noi, vieni a trovarci”
Mi sovviene cosa sosteneva qualche mese fa Kioske in merito a queste esplorazioni spaziali visive: “è più semplice alimentare un Ciao Piaggio a whisky che fotografare stelle!”. Ma a sentire Massimo invece le cose non starebbero così, provare per credere, diceva un famoso motto.
Ci salutiamo con la promessa che avrei fatto il possibile per partecipare ad una serata a veder la notte che ci gira intorno. Penso che nonostante sia molto attratto da questo mondo di lenti e telescopi puntati verso lo spazio non è tanto lo spazio, quanto lo spazio-tempo che finisce troppo in fretta. E’ ora di andare a casa…le nuvole si stanno mostrando minacciose e le prime gocce d’acqua interrompono una manifestazione deliziosa che spero possa essere ripetuta al più presto.
Davide Moressa ”Alien” – Sommelier appassionato di Vino e del mondo che lo circonda –
Se mi volete contattare scrivete a davidemoressa@tiscali.it