Carbonara con la panna e pizza con l’ananas – Parte 1/3

LESS IS MORE” (Ludwig Mies Van Der Rohe)

disapprovo la pizza con l’ananas, ma difenderò il tuo diritto di poterla ordinare”  (Voltaire, più o meno)

Quali profumi potrei abbinare al ricordo di certe lontane estati? Se penso alle stagioni durante il periodo scolastico e a ridosso della naja, profumi davvero pochi. Ma odori sì, tanti. Odori di cucina, cibo, pizza, fumo di sigarette, miscela del motorino, asfalto. Cercavo lavori stagionali. Volevo avere in tasca due soldi per la disco e per mantenere il motorino. Non volevo chiedere sovvenzioni in famiglia. Il gioco ne valeva la candela anche se parlando di candela, quella maledetta qualche volta andava smontata e pulita. Il tubone elaborato ripartiva solo dopo una bella spinta, ma vuoi mettere la libertà, il vento tra i capelli, i moscerini negli occhi, diecimila lire in tasca.

 

Arrosticini, arrosticini, arrosticini. Non pensi ad altro, quando mangi gli arrosticini.
Ecco perchè ne mangi tanti, uno dopo l’altro. Non pensi ad altro. E mangi arrosticini.

Inizialmente ho svolto lavori abbastanza insoliti, dove non era richiesto un contatto con i clienti. Poi mi sono calato nel più classico dei ripieghi estivi, l’evergreen: cameriere. Se negli USA si narra la leggenda di molti grandi manager partiti da una bottega in garage o friggendo patate nei fast-food, qua da noi si perde il conto di grandi capitani di industria che hanno iniziato la carriera lavorando in trattoria. Questo lavoro per me significava dover parlare, spiegare, trattare, chiedere, interloquire con tante persone diverse e di tutte le età. La comunicazione signori miei non si studia solo sui libri, ma si sviluppa e matura prima di tutto dal confronto diretto con le persone. Ho arricchito la mia esperienza professionale e sociale, ma anche collezionato una bella raccolta di figurine targate “una volta mi è successo che”.

…Messico e nuvole, la faccia triste dell’America, il vento soffia la sua armonica, che voglia di piangere ho…

Come quella volta che ad un tavolo una coppia di signore molto anziane mi chiesero due tazzoni. Cercai al bancone del bar due grandi tazze vuote. Le più grandi. Solo dopo essere tornato al tavolo delle clienti capii che in realtà volevano due Tassoni…le cedrate. Le signore, poverine, erano più imbarazzate di me. In fondo avevano di fronte un ragazzino e mi confessarono di essere convinte che il nome della cedrata in italiano fosse scritto con la doppia zeta. E dato che la le zeta in veneto diventano esse, per loro tassoni era la pronuncia dialettale; ecco spiegato l’equivoco. “Galo capio come che la xè, giovane” – ” Go capio, sì (adesso)”. Ma in definitiva, nessun reale imbarazzo, qualche sorriso di cortesia e via, a pedalare tra i tavoli. Cosa sarà mai.

La vicenda non mi sembrava nemmeno tanto strana. Prima di tutto non trovavo buffo il fatto di aver cercato di accontentare le due madame con qualsiasi cosa mi potessero chiedere (…cosa se ne faranno di due tazze grandi, mah, magari ci mettono la dentiera con la pastigliona effervescente, magari le usano per mescolare una medicina, oppure ma chi se ne frega…intanto gli porto ‘sti tazzoni, dopo decideranno cosa farsene…). Una volta un cliente mi ha chiesto una sambuca con la mosca, però non è che sono andato a caccia di insetti con la paletta. Intanto ho bisbigliato al cliente “…con mosca” per assicurarmi di aver capito bene, poi ho chiesto ai colleghi più scafati cosa casso volesse dire.

A proposito, la “mosca” deve essere sempre nel numero di tre (oppure cinque) chicchi di caffè, mai un numero diverso. Ed è un abbinamento nato solo nel 1960 durante le riprese del film La dolce vita. Badate bene: nato per scherzo (di come nascono le “tradizioni” se ne parla nella parte II)

Tassoni come se piovesse. ” E’ buona e fa bene” era lo slogan primitivo.
Poi arrivò Mina…cantava
“Quante cose al mondo vuoi fare, costruire, inventare: ma trova un minuto per me…”

Ero un pivello inesperto, e per questo motivo mentalmente aperto a tutte le possibilità di richiesta. Due tazzoni però sono pur sempre due tazzoni e hanno un significato in italiano. Semplicemente: non ero ancora pronto ad “interpretare” le richieste e indirizzarle verso un sistema chiuso e predeterminato. Apertura mentale una cavolata simile? Non ci trovo niente da ridere ma, se volete, ve lo concedo e proprio nel nome di questa apertura.

L’inesperienza ha dei vantaggi, apre le porte alla valutazione di qualsiasi possibilità ed elimina i pregiudizi. Oggi ci sono manuali grossi così di Marketing che ne parlano e dottoroni con il radiomicrofono sulla guancia ne fanno un punto saliente dei loro discorsi ai meeting aziendali.

…dammi tre parole: mortadella porchetta gigante…
dammi un bacio che non fa parlare, è l’amore che ti vuole prendere o lasciare.
Stavolta non farlo scappare. W l’Italia e W gli Alpini!

Dicevo quindi che a parte i fraintendimenti, tra i tanti aspetti di questo lavoro, ho imparato anche a considerare normale, o degna di essere presa in considerazione, ogni tipo di comanda a prescindere da quelli che erano i miei gusti personali o le mie convinzioni. Cosa mi importava se uno straniero ordinava un cappuccino da sorseggiare con la pizza alla diavola? Oppure se qualcuno mi chiedeva il formaggio grattugiato per la sua pasta allo scoglio? Chi ero io per decidere per gli altri cosa fosse buono e cosa potesse essere giusto o sbagliato? L’inesperienza tra l’altro modificava il mio punto di vista verso la concezione di qualità gastronomica. Per me era legata maggiormente all’aspetto quantitativo, anzi il rapporto quantità/prezzo. A quella età misuravo il valore di una pietanza prima di tutto sulla bilancia e per il costo e forse, solo successivamente, avrei valutato la difficoltà di preparazione, l’esclusività degli ingredienti.

Ma quale food experience…a chi? Io avevo fame. Quanto alla raffinatezza degli abbinamenti ero in alto mare e nessuno mi lanciava salvagenti.

 

Pensateci bene prima di litigare con un cuoco. Se il cuoco è indaffarato ai fornelli, non pensateci nemmeno.

A fine serata, rassettati i tavoli, assieme al mio amico e compagno di avventure lavorative Diego facevamo la gara a chi mescolava più ingredienti strani (e pesanti) sulla pizza che ci veniva offerta dal gestore. Ricordo combinazioni che oggi definirei raccapriccianti e che sconcertavano il pizzaiolo. Ci chiedeva se avessimo un tritarifiuti al posto dello stomaco e se usassimo il kerosene come digestivo. Noi mangiavamo, stanchi, ma felici, affrontando una pizza stracolma di ogni bendidìo. E che buona! Alla faccia di Ludwig Mies van der Rohe.

fine della parte I … to be continued, stay tuned

Quantità e allegria, paella e sangria. La mia teoria:
i grandi contenitori di cibo, sia in cottura che per esposizione, sono i-p-n-o-t-i-c-i
Eliminato il piatto dal Menu, chiusa ogni polemica. Chi tace acconsente, o chi tace sta zitto ?
Intervista del Gambero Rosso a Sorbillo…”Non ci deve essere un razzismo gastronomico, non ci devono essere dei blocchi solo perché qualcuno in passato ha sbagliato. Io sono stato sempre aperto: ad altre scuole di pensiero, tecniche…”

“Due amici. Il primo ordina un tè. Il secondo – Prendo anch’io un tè, ma mi raccomando, che la tazza sia pulita! – Passa qualche istante e il cameriere torna con l’ordinazione – Ecco i tè; chi dei due ha chiesto la tazza pulita? – ” (Elena Loewenthal)

Se l’articolo ti è piaciuto puoi esprimere il tuo gradimento e seguirci tramite la pagina Facebook degli Alkimysty.

https://www.facebook.com/Alkimysty



				

Davide Moressa

Davide Moressa  ”Alien” - Sommelier appassionato di Vino e del mondo che lo circonda -  Se mi volete contattare scrivete a davidemoressa@tiscali.it

More Reading

Post navigation