Da molto tempo Paolo Rossi a Vicenza tira più di tutto, anche se i detti più popolari menzionano un altro elemento come quello che risulta essere più trainante del carro. Eppure Vicenza ama il suo numero 9 storico, in una alchimia unica e indelebile che ora, dopo i primi stralci di street art a lui dedicati su muretti o colonnine semaforiche e dopo la statua fronte stadio Menti, è sfociata nell’imponente murales dell’Everest.
Ma io non voglio parlare di questo: voglio tornare bambino e capire il perché di tanta alchimia uomo/città. Proverò a farlo ricorrendo la mia vita e cercando spiragli e bagliori di Paolo Rossi nella mia esistenza. E allora eccomi qui, primavera 1980, calzoncini corti blu della merceria Imelde e maglietta bianca in cotone, recarmi al campetto dietro la chiesa dei Ferrovieri, perché “se vieni oggi dietro alla chiesa giochiamo a calcio”. Per arrivare al campo costeggio la rete e osservo i miei coetanei cimentarsi contro i “più grandi”. Loro, i più grandi, hanno quasi tutti la maglia del Vicenza. Righe larghe, righe strette, cotone, flanella, con la R della Lanerossi, senza R. Ma tutte hanno, sulla schiena, un 9 nero, o bianco (brutto e invisibile sul biancorosso), i più belli sono blu, alcuni sono fatti a pennarello.
Mio padre non ama il calcio per cui in casa Paolo Rossi non esiste. Tuttavia vedere tanta gente, più grande di me, con quella maglia, mi fa capire che quel 9 è diverso dagli altri, nonostante io non conosca ancora Paolo Rossi e i calciatori. E io, che come tutti i bocia volevo emulare i grandi, inizio a chiedere ai miei di andare alla Rina Sport per comprare la maglia del Vicenza e un 9 blu da cucire sul retro, ricevendo uno dei primi e tanti no che avrebbero costellato la mia infanzia e quella di tanti miei coetanei. Comunque, maglia biancorossa a strisce, o solo bianca come la mia, ai Ferrovieri sta crescendo una generazione di piccoli calciatori. Corre l’estate del 1980 ed ecco a sorpresa mio padre seguire la trasmissione Mixer della Rai incentrata su Rossi dopo la squalifica per calcio scommesse; sono stupito che papà guardi qualcosa che riguarda il pallone e capisco il peso che ha Pablito dietro al suo fisico esile e quanta professionalità e serietà c’è nell’atleta, camuffata dal suo splendido sorriso.
Giunge l’inverno 80-81, ormai seguo il calcio come tutti i miei compagni di scuola, e alla Domenica Sprint leggo sempre il L.R. Vicenza ultimo in serie B. Ma allora perché nella tombola del calcio che mi avevano regalato qualche anno fa il L.R. Vicenza era tra le squadre di A? L.R.Vicenza. Ancora oggi ricordo le prime scritte computerizzate della Rai (quelle con l’uno simile a un bacchetto) e penso che la scritta L.R.Vicenza era la più bella di tutte. Tutta Italia avrebbe dovuto tifare il Vicenza per questo.
Fine agosto 81 appaiono dei manifesti colorati appesi in giro per il quartiere: “Scuola calcio Ferrovieri. Primi calci, per i nati nel 73-74 e pulcini, per i nati nel 71-72, inizio il 10 settembre.”
Ci presentiamo in una quarantina. Il mitico mister Bepi Cavion, un po’ per capire a che livello siamo e un po’ per divertimento, forma due squadre da venti e inizia la partita calciando la palla in alto perpendicolarmente al cerchio di centrocampo. In 38 corriamo tutti dentro al cerchio aspettando che la palla scenda dall’orbita, mentre Bepi si mette le mani ai capelli.
Difficile dire il monte ore che un ragazzino dagli otto ai dodici anni impegna, in quegli anni, giocando a calcio. Penso più o meno quello che oggi il pari età impegna al cellulare. Ma noi bocia giocando stiamo crescendo, iniziamo a tifare, a giocare qualche schedina comunitaria, a discutere di serie A e dei gol della domenica, a seguire le telecronache di Luca Ancetti piene di sfere, di Bottaro e di Erba. Non giochiamo più con le Superga da ginnastica, ma tutti abbiamo le scarpette nere chiodate, gli sfigati hanno le Monterocca, i coccolati le Adidas. Le Tepa sport fanno la media.
Dopo la serie A e la nazionale iniziamo a seguire anche il Lane, e ormai è il 1981-82, e il lunedì tutti guardiamo su Tva le vicende di Eligio Nicolini e Oriano Grop, simpatizzando anche per Medaglia e Princivalle; al campetto appare una prima maglia del Vicenza con lo sponsor, Yuma jeans, le nuove maglie delle squadre ci mettevano più tempo ad arrivare dal Menti ai Ferrovieri che oggi dal Meazza a Nanjing (ma vorrei dire da Nanjing al Meazza).
In molti siamo passati alle scarpe da calcio Diadora. Giochiamo, giochiamo e giochiamo al campo dei Ferro in veste ufficiale e al campetto dietro la chiesa per i cavoli nostri. Siamo ormai nella primavera del 1982 e rispunta, o meglio per me spunta visto che prima della sua squalifica non seguivo il calcio, il nome di Paolo Rossi, che torna alla terzultima di campionato con la maglia della Juve. A giugno ci sarà il mondiale in Spagna e Bearzot lo vuole con la nazionale a tutti i costi, a maggior ragione dopo l’infortunio di Bettega, fin lì titolarissimo azzurro, patito in coppa contro il portiere Munaron dell’Anderlecht. Ebbene al rientro dopo due anni, al 49° minuto di Udinese-Juventus Pablito torna a marcare presenza in un tabellino ufficiale. Percepisco euforia a Vicenza e immagino Bearzot accendere la pipa col tabacco buono. E fa bene a crederci, Vicenza come il CT della nazionale, perché dopo un titubante inizio di mondiale dell’Italia e di Pablito, arriva la sfida con l’Argentina. Personalmente sono molto attratto dal calcio, ormai ho 10 anni. Eppure oggi 29 giugno 1982 sono di ritorno da una delle nostre missioni a villa Dalla Mura, il Castelletto Rosso di cui racconto in “Pane & Oppi”.
Solo le strade vuote e la voce di Nando Martellini che proviene dalle case ci fa capire che la partita è stupenda, così torniamo a casa mia ed esultiamo per il 2-1.
La sfida successiva è col Brasile e ai verde oro basta un pari per passare e buttarci fuori. Ma qui appare il calciatore che ancora non conoscevo e da lì in avanti è un crescendo che mi regalerà uno dei periodi più felici e spensierati della mia esistenza e di quella di tanta gente. Quel mingherlino col numero 20 bianco e squadrato sulla maglia sembra poter fregare ogni stopper più arcigno e ogni difesa schierata. Così pochi giorni dopo siamo a festeggiare la vetta del mondo dell’Italia, e di Pablito tra i marcatori, tirando gavettoni in strada dalla terrazza di casa. Perfino mio padre è gasato, lui che odia il calcio, forse trascinato dall’immagine di Pertini che esulta stringendosi le mani al cielo. È pur vero che le storie di rinascita sono sempre affascinanti, e prima di questa sera papà aveva visto Pablito solo a Mixer due anni prima, come me.
Questo per me è Paolo Rossi. Un giocatore che ha marchiato momenti di vicentinità e italianità e un uomo affabile che nel solo pronunciare Vicenza, con la c risucchiata e la e larga da toscano, dimostrava amore per Viscènza, e per noi.
Intanto noi bocia cresciamo e l’anno dopo ai Donà e ai Perrone si uniscono un attempato Bigon e un bocia come noi. Iniziamo a seguire gli allenamenti allo stadio, nel triangolino in terra battuta dietro la tribuna, dove tra le bestemmie di Mazzeni e Mascheroni fiorisce la classe del bocia come noi, il timido ricciolino col giubbetto in jeans che da Caldogno arriva accompagnato in auto da Toto Rondon.
Ma questa è un’altra storia, questo è un altro uomo.
Di certo c’è che l’Everest ha anche un lato nord, che guarda al Tibet.
https://www.facebook.com/Alkimysty
https://www.youtube.com/watch?v=LTrxSh74PpQ
Kioske
Grazie per questo tuffo nei ricordi!
Bellissimo racconto. Mi hai fatto venire voglia di scrivere una storia simile su Reginaldo e il suo grandissimo Treviso.