Calasetta: le radici a piede franco e La Scogliera

Alzo il calice verso l’alto, incrocio con gli occhi i delicati bagliori del sole vicino al tramonto che attraversano la mezzaluna di cristallo. Il vivido rosso rubino del Carignano, lucido, teso e consistente, si increspa al suono di un tintinnio. Un brindisi tra amici in una sorta di colorata cartolina animata dove persone, natura e clima disegnano un momento magico. Ci siamo sistemati in un prato verde e rigoglioso, a ridosso delle vigne che al contrario si stagliano sul fondo sabbioso color miele. Dalla nostra posizione, leggermente rialzata, possiamo dominare le file degli alberelli di vite. Bassi, diversi l’uno dall’altro per età e foggia, allineati, ricurvi fino a sfiorare il terreno, corrono verso l’orizzonte.

Il nostro gruppo alla Tenuta La Scogliera, e il cane di casa, Argo che festeggia con noi. Dato che lo vedevo bello scodinzolante quando si aggirava vicino al banchetto ho sospettato che potesse trattarsi di un cane con le stesse caratteristiche del “can de Trieste” cantato e raccontato nella celeberrima canzone di Lelio Luttazzi.

Le vigne sono interrotte da una linea, formata da scogli e pietre, che a sua volta limita le onde del mare di Calasetta. Mi guardo attorno e respiro la natura e i profumi del vino. Le sfumature di marasca e prugna, spezie dolci e pepe nero, danzano al ritmo swing della musica inviata ad un altoparlante bluetooth.

è solo la tecnologia senza fili a rendere diverso questo momento da uno stesso istante che poteva essere uguale cento anni o duecento anni prima, e che potrebbe restare uguale tra cent’anni.

Il calice che ho tra le mani contiene un vino che ha secoli di storia. Io sarei già molto felice se questo vino lo potessi degustare anche per festeggiare i miei, di kent’annos. Ma, essendo un veneto emigrato, temo che il solo cambio di residenza non basterà a modificare i miei geni della longevità. E quindi mi godo il momento e gli amici, e rabbocco il bicchiere, carpe diem. I cellulari restano in tasca o sulle poltrone, abbiamo già scattato molte foto. In particolare gli scatti di uno di noi vengono eletti “migliori di tutti”, ma il nostro nobile amico si schernisce, è merito del telefono, dice.

L’importante ora è poter dedicarci senza le distrazioni dei social virtuali alla nostra  socialità vera e tangibile, alla degustazione del vino, oltre che le prelibatezze disposte con arte sul tagliere in sughero dalla affabile signora Maria Iose.

La famiglia Verona a Calasetta è viticoltrice da 5 generazioni; questo calice di vino ha quindi certamente una lunga storia alle spalle, ma la sensazione che ricevo è che il “RAIJE” della Tenuta La Scogliera potrà avere anche un lungo e radioso futuro. Raije significa radici in tabarchino: la famiglia Verona è in parte ligure, la presenza dei liguri, la loro lingua e le loro tradizioni, sono caratteristici a Calasetta e nell’Isola di San Pietro per motivi storici.

Ho pensato tra me e me che la pronuncia di questo nome, Raije, in fondo mi suona familiare. In Veneto si pronuncia quasi allo stesso modo. Anzi, a ben pensarci è una parola che non cambia di pronuncia e di significato sia se usata al singolare che al plurale. La raixe, le raixe. Anche alla Tenuta La Scogliera le radici sono più di una.

Si presenta a noi il signor Stefano Verona, marito della signora Maria Iose, “su meri de sa domu” direbbero in sardo. Ma dato che è proprio il signor Stefano la parte ligure della famiglia, allora diventa “u padrun de casa”. Le mani e il viso di una persona che conosce bene il lavoro nei campi, energia da vendere, negli occhi un gioviale scintillio. Stefano ci ha accompagnato lungo i filari raccontandoci la storia della loro attività di viticoltori e del Carignano a Calasetta.

Stefano Verona e il sottoscritto; sto pensando a quanto bassa sia questa vigna e quanto debba essere faticoso potarla e vendemmiarla!

La caratteristica fondamentale di tutta la produzione della Tenuta La Scogliera è che proviene da vitigni di Carignano a piede franco. Generazioni di viticoltori hanno mantenuto e rinnovato nel tempo la piantagione. Il piede franco è la caratteristica che contraddistingue le viti che mantengono l’apparato radicale originale. Sono viti che non sono state colpite dalla fillossera, una delle tre più violente piaghe che ha colpito la viticoltura. La “trilogia parassitaria” (così viene definita) ovvero la triade oidio-peronospera-fillossera, e le azioni di recupero che ne conseguirono tra il 1840 e il secolo successivo, hanno dapprima cancellato e poi ridisegnato totalmente la viticultura in tutta Europa. Le viti a piede franco sono pertanto piante le cui radici sono parte unica con il corpo della vite e non sono frutto di innesti su radici americane. Alla Tenuta La Scogliera allevano viti che sono cloni delle barbatelle di Carignano risalenti al 1774, giunte poco tempo dopo la costituzione e i primi insediamenti dei coloni liguri a Calasetta.

Lo stratagemma del portainnesto è stato proposto nel 1881 e divenne infine la soluzione adottata in tutta Europa dai primi del ‘900. La radice a piede franco garantisce che il frutto provenga dallo stesso clone del vitigno originale però garantisce una vita più lunga alla vite oltre che maggior concentrazione all’uva.

Il mondo della enologia a livello mondiale ormai riconosce che le radici a piede franco garantiscono migliore qualità, e un giorno potrebbero diventare patrimonio dell’Unesco (la richiesta è nata già nel 1999 da Mario Fregoni ,una ulteriore richiesta è stata presentata negli anni 2000 in Francia)

Le viti di Carignano ad alberello, Tenuta La Scogliera – Calasetta – SU
Per chi volesse approfondire il tema che riguarda radici, innesti portainnesti e cosa hanno comportato le piaghe parassitarie nella enologia e viticoltura mondiale e italiana raccomando un libro molto interessante: “Vini Proibiti” – Kellermann editore- di Michele Borgo e Angelo Costacurta

Stefano mi racconta la difficoltà a trovare giovani che siano davvero appassionati e interessati al lavoro in vigna. I costi della burocrazia per qualsiasi tipo di attività gestionale sono altissimi, specialmente per realtà piccole come la Scogliera. Sono argomenti che ho incontrato molto spesso e in più realtà vitivinicole. Ma oltre ad un generale disinteresse dei giovani verso il lavoro della terra – riscontrabile ovunque – bisogna considerare che in queste aree incide anche il calo demografico. Le allettanti sirene che ricevono i giovani per il lavoro nelle città oppure la carriera in continente complicano molto la sostenibilità economica (e fisica!) per chi rimane a proseguire questa attività.

Sole e vento, fatica e sacrificio.

Il tipo di terreno sabbioso e le condizioni climatiche tipiche di quest’area hanno quindi salvaguardato i vitigni; l’esposizione, il tipo di potatura e la cura degli uomini hanno portato ad avere una bassa resa in termini di q.li/h ma una altissima qualità della materia prima con alta concentrazione.

Negli anni ’80 gli incentivi agli espianti e le basse rese quantitative, oltre che i primi mancati passaggi generazionali tra i lavoratori della campagna, ha ridotto moltissimo le viti di Carignano nell’area. La famiglia Verona ha resistito mantenendo la produzione di uva e conferendola ai consorzi. Tuttavia l’alta qualità dell’uva, frutto anche di lotta integrata e meticolosa esecuzione del lavoro in vigna, e il gradimento da parte del mercato, ha fatto scattare l’idea: proviamo a creare e imbottigliare il nostro Carignano.

LINK alla pagina FB della Tenuta La Scogliera

La vendemmia 2021, l’unica per ora prodotta, è ciò che sta roteando nel mio calice, esprimendo un profumo intenso e verticale, complesso, fine, elegante. Chi mi segue sa bene che sono recalcitrante a elencare e descrivere il vino come da “scheda” e con il freddo elenco tassonomico di caratteristiche tecniche.

Nel complesso, prima di tutto, resto positivamente sorpreso dall’equilibrio. L’equilibrio tra il tannino, rotondo e non aggressivo, l’ottima sapidità e la freschezza; il finale fruttato, speziato, persistente e fine mi lascia la sensazione di un vino godibile, dove la struttura del vino supporta gradevolmente il titolo alcoolometrico di 14.5°.

Per una precisa scelta il Raije non fa passaggio in legno. Questa è una caratteristica che lo rende “moderno”: lavorare per regalare profumi e caratteristiche del Carignano è una scelta che va incontro alle nuove tendenze, ovvero spogliare il vino dalle sovrastrutture per avvicinarsi maggiormente alla sua reale essenza.

Carasau nero

Se da un lato Stefano rappresenta l’esperienza, il lavoro e la memoria storica, e se la radice di questa Tenuta è articolata estendendosi alla signora Maria Iose – guida saggia e controllore di bordo – ora è la volta di conoscere la radice nuova e giovane, la figlia Erica, che rappresenta la nuova generazione.

Erica cammina sicura nella vigna e ci parla dei suoi progetti per il Carignano a piede franco. Dopo la laurea in giurisprudenza e gli studi in alimentazione e gastronomia Erica ha posto lo sguardo dritto al futuro della Tenuta; il suo tenace carattere la spinge verso gli obiettivi da raggiungere anche facendosi forte delle ottime recensioni e dei positivi riscontri degli esperti di settore che hanno valutato il vino Raije.

Ad oggi le uva a bacca nera occupano il 71% delle aree vitate sarde, e il Carignano – che ha avuto anche momenti di larghissima diffusione nel Sulcis Inglesiente fino agli anni ’80 – rappresenta il 7% di queste.

Intanto, dove si muove Erica si muove anche Argo, il suo fedele cane. A parte quando Argo si inventa inutili agguati al gatto Ciccio. Argo vede il felino e parte a razzo per agguantarlo, ma non può competere con le abilità circensi di arrampicatore-equilibrista del micio che sale sopra un traliccio alto un paio di metri. A debita distanza – e altezza – Argo guarda Ciccio in cagnesco (e ci mancherebbe) Ciccio invece guarda noi, implorando un intervento di Erica. Che prontamente ripristina un armistizio.

L’annata 2021 a mio avviso ha raggiunto una buona maturità, il vino è pronto, il tannino è presente ma rotondo e levigato, i profumi sono fini ed eleganti, il finale è persistente, freschezza e sapidità sono ben bilanciati; parliamo tuttavia di un Carignano che è ancora all’inizio della sua potenziale espressione nel tempo, e vista la concentrazione e il titolo alcolometrico, posso presumere una buona longevità.

Erica ha una visione progettuale delle viti e del Carignano orientata alla produzione del proprio vino e la gestione completa di tutti i processi della produzione fino all’imbottigliamento e la gestione degli aspetti distributivi. Il Raije ha già ottenuto come esordiente approvazione e consenso; è stato selezionato tra i partecipanti all’ Only Wine Festival 2024  . Da parte mia non posso che confermare queste ottime premesse. 

Erica è consapevole che dovrà stare attenta a tutti gli imprevisti e le difficoltà che questa operazione comporterà. Papà Stefano e mamma Maria Iose la sostengono verso questa avventura, ma possono stare sereni, le loro radici sono salde e unite, e sono certo che i frutti non tarderanno ad arrivare.

Erica Verona e il fedele Argo
NOTA:
il Carignano è un vitigno autoctono sardo. Da dove proviene, chi lo ha portato, è sempre esistito nel territorio? Chi dice arrivi dalla Spagna, chi Francia, altri medio-oriente, altri i Romani. E chi sostiene che sia sempre stato presente in Sardegna. Tutti cercano le prove per testimoniare la primigenia di un vitigno quando è presente in più paesi. Il marketing ha le sue regole, è importante dimostrare le origini più remote, sappiamo che porta sempre qualche beneficio. Una storia questa, simile a quella di tanti altri autoctoni, compreso anche il Cannonau, sempre restando in Sardegna. Tuttavia, se parliamo di commercio e di scambi, allora il Mediterraneo non deve essere visto come un "limite" ai trasporti e al movimento di cose e persone, anzi, il mare è sempre stata una strada aperta e libera per merci, culture e persone. E la storia non è sempre lineare, qualche volta è...circolare. Non ci è dato sapere pertanto se nella notte dei tempi questo vitigno fosse originariamente sardo e se fosse giunto solo successivamente in continente e - solo dopo molto tempo e dopo essere stato dimenticato nella terra natia - sia "ritornato a casa". Un po' come le nostre parole latine. Spariscono dal nostro vocabolario e ci rimbalzano dopo decenni o secoli sulla nostra testa. Magari con la forma di un inglesismo, e ci dobbiamo beccare i sAmmit, i plAs, i mIdia, per intenderci. In questo caso specifico però, è noto che parliamo di barbatelle giunte a Calasetta provenienti dal Piemonte a metà del settecento. Reimpiantate, rigenerate, queste viti di Carignano della Tenuta La Scogliera mantengono lo stesso clone di allora. Della famosa sequenza, però, gallina-uova e se in realtà i piemontesi - portando le barbatelle - stessero in realtà facendo economia e storia, ehm, "circolare", se ne occuperanno archeologi, naturalisti, storici e accademici in generale; io mi limito a fare il tifo per i quattro mori. (Davide)

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Davide Moressa

Davide Moressa  ”Alien” - Sommelier appassionato di Vino e del mondo che lo circonda -  Se mi volete contattare scrivete a davidemoressa@tiscali.it

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