Il fascino dell'imprevedibilità

L’anarchie des champignons

In questo periodo le crescite più o meno elevate di porcini e chiodini favoriscono il pullulare di post e articoli sui funghi, che crescono, appunto, come funghi.

Ahah, analogia scontata, potrà obiettare qualcuno, tuttavia io ritengo che questo comune modo di dire del crescere come funghi sia poco azzeccato.

Perché? Perché il fungaiolo sa benissimo che sulle crescite dei miceti si possono elucubrare centinaia di ipotesi correlati a clima, altitudine, temperatura, umidità, lune, presenza o meno di vento (o addirittura presenza o meno di lumache!) ma poi, alla fine, il fungo fa sempre più o meno quel che vuole (dopo il “quel”, in questa frase, ci avrei anche messo un rafforzativo di tipo anatomico, a sottolineare una certa frustrazione). Così, quando qualcuno usa la frase crescono come funghi per riferirsi a crescite copiose io penso sempre a quante volte mi sono recato all’alba in montagna perché “domani le condizioni di crescita saranno perfette” senza poi trovare nulla; e allora resto sempre confuso.

I funghi sono la cosa più anarchica che ci sia.

Ma oggi non è di miceti che voglio scrivere perché ormai gli articoli sui funghi fumano come turchi, così invece di classificare i carpofori classificherò i fungaioli e mi piacerebbe che poi ognuno si identificasse in qualcuna di queste figure, o altre, nei commenti.

Classificazione per fine: nella mia esperienza conosco svariati tipi di intenzione che porta un uomo a decidere di andare a funghi. Una prima distinzione va fatta certamente tra chi lo fa per lavoro e chi per diletto. Ma se i primi rappresenteranno l’1% dei fungaioli, allora classificherò gli altri. C’è chi va per trovarne tanti perché adora i bigoli col porcino o il coniglio coi finferli. Poi c’è chi ne trova ma non ne va matto, e allora i carpofori diventano oggetto di regali o di scambi con le trote dell’amico pescatore. C’è chi va a funghi per restare qualche ora solo nel bosco, come c’è chi va per la compagnia (e va detto che questi ultimi, soprattutto nel bosco, sono odiati dai primi). C’è chi va perché poi mangia il panino seduto su una roccia e chi perché poi va a ingollarsi in osteria. Chi per camminare all’aria aperta, chi per conoscere posti, o per trovare varietà rare, o per non mandare il compagno da solo perché c’è l’orso, per usare i bacchetti da montagna nuovi. E c’è anche chi va per aiutare le mostre micologiche ad esporre il maggior numero di specie possibile, rendendo valida e utile quella divulgazione culturale necessaria quando si parla di funghi. A tal proposito permettetemi di ringraziare tutti i gruppi micologici d’Italia, quei gruppi Bresadola (non bresaola!) che fanno opera preziosa di divulgazione culturale a livello capillare.

https://it.wikipedia.org/wiki/Giacomo_Bresadola

https://www.ambbresadola.it/

Classificazione per impegno: questo tipo di classificazione posso farla sulla mia pelle, credo di aver passato tutti questi stadi. Ci sono persone che si alzano alle 4 a.m. per essere sul bosco alle 5 con la pila e quelli che vanno a funghi alle 4 p.m. perché tanto i funghi buttano anche il pomeriggio. Poi ci sono quelli che camminano sette ore finché le gambe non cedono (e allora si vede gente accasciarsi al primo rametto perché non c’è più forza per alzare una gamba) e quelli che alla mezz’ora del primo tempo chiedono il cambio. Ci sono quelli che finché non trovano il primo porcino sentono l’ansia da prestazione e quelli che la prestazione ritengono sia il semplice godere del bosco. Ci sono quelli che raccolgono tutto e poi selezionano a casa, di solito hanno due bicipiti così per il peso dei cesti e poi quelli che si portano i primi 4 volumi di Bruno Cetto nel bosco perché vogliono capire tutto senza raccogliere miceti a vuoto.

Classificazione per abbigliamento: si vede gente andare nel bosco così mimetizzata da sembrare in battuta di caccia e poi si incrociano tra gli abeti persone in fuxia e verde fluo. Si incontrano persone in sandali, in scarpe da ginnastica, scarponi o stivali di gomma. Fungaioli in t-shirt con tre gradi perché tanto poi il sole scalda e altri in maglione di pile ad agosto perché in montagna c’è sempre quell’arietta cancara. Chi ha zainetti grandi come il taschino secondario dei jeans e chi ce l’ha da parapendio. Chi possiede virili cesti rettangolari simili a contenitori da magazzino e chi cesti in vimini rotondi (o addirittura a barchetta) in stile cappuccetto rosso a fragoline nel bosco.

Classificazione per livello di conoscenza ed educazione nel bosco: sono andato a funghi con gente che riusciva a discernere due funghi per me sostanzialmente uguali, mostrandomi in separata sede che la forma delle spore al microscopio era diversa. E ho incontrato una coppia nel bosco che aveva riempito un sacchetto intero di chiodini misti a lepiote tossiche (la famiglia delle cosiddette Mazze di tamburo presenta anche forme più minute non commestibili), funghetti in grado di far tirare il calzetto a un bambino o a un anziano. Sono andato a funghi con persone che per capire un fungo si spalmano a terra per spiare se sotto ci sono lamelle o tubuli e altre che rabaltano funghi coi pie come stessero giocando a calcio. Qualcuno va a funghi osservando anche sottobosco e alberi, qualcuno scandaglia il terreno così a fondo che uscito dal bosco lamenta dolori cervicali. C’è chi si muove silenzioso come un Rambo e chi lo senti da Gallio. C’è chi la tiene fin casa e chi va in montagna con la carta igienica.

Ci sarebbero altri numerosi criteri di classificazione ma il tempo sta per scadere, allora mi limito all’ultimo e più facile, nel senso che lo spartiacque qui è netto: la classificazione per possesso o meno del permesso di raccolta funghi. Contestualmente evito l’argomento perché sarebbe come parlare di religione o politica, l’opportunità o meno dell’esistenza di questo permesso è elemento di diatribe storiche.

Ma tornando a noi e all’anarchia dei funghi. Credo che la loro imprevedibilità costituisca il loro fascino. Le attività umane più preistoriche, caccia, pesca, ricerca di generi edibili in natura, racchiudono in sé questa componente di imprevedibilità che le rende interessanti e sfidanti.

E l’uomo, col suo insito spirito di cacciatore, resta sempre imbrigliato all’amo della caccia al porcino.

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Francesco Sattin

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