A Nove son le 9

Avrei preferito un bel giorno di sole per la passeggiata a Nove, ma il sole non si può dipingere nel cielo come si potrebbe, invece, dipingere su un vaso. Così compio i tremila passi per attraversare il paese, seguendo la direttrice nord sud, in una giornata uggiosa e priva di colori. Il risultato è un ritratto realistico di quello che è il centro di Nove odierno: una foto in bianco e nero. Non è una valutazione qualitativa, ma quantitativa.

A Nove son le 9.

Ceramiche fanno capolino dalla finestra di un laboratorio ceramico.

Complessivamente, sul tabellone cartografico presente nella piazza del paese, sono segnalate oltre 70 attività che producono svariati tipi di ceramica, in primis maioliche, porcellane e terraglie. È evidente, da ciò che vedo, quanto ho sempre sentito dire, ovvero che a Nove (e di riflesso nei paesi limitrofi) il settore ceramico era molto fiorente, la produzione pregiata e il benessere diffuso. Qualsiasi famiglia contava almeno un membro alle dipendenze di qualche fabbrica locale di proprietà dei vari Antonibon (poi Barettoni), Dal Prà, Baccin, Baroni; imprenditori illuminati che creavano ricchezza per sé stessi e per i novesi. L’idea che mi sto facendo passeggiando a caso è che la maggior parte degli edifici più rilevanti sia o sia stata proprietà di un famiglia di ceramisti: infilandosi per una qualsiasi laterale della piazza si scorgono vecchi laboratori, talvolta ancora attivi. E i vicoli ciechi? Sono ciechi perché terminano al cancello di uno stabilimento ceramico. Per rendere l’idea di quanta manodopera richiedesse il settore è sufficiente osservare l’incremento demografico di Nove dal 1951 a oggi: da 2945 a 4894 abitanti. Un comune limitrofo come Schiavon, che non ha goduto della presenza di un settore trainante e rimasto piuttosto legato all’agricoltura, nello stesso periodo ha timbrato queste due cifre: da 2001anime a 2600.

Sono ancora le 9, a Nove.

Nulla sembra essersi più mosso dai tempi in cui le argille fornivano alimenti a tutti i paesani. La presenza di attività ceramiche è forte lungo le rogge del paese, in primis la roggia Isacchina: i corsi d’acqua permettevano le varie lavorazioni, anche il funzionamento dei mulini spacca sassi necessari alla polverizzazione dei gessi dell’altopiano di Asiago, dei quarzi del Brenta e del caolino dei Tretti di Schio, tra i principali materiali necessari alla produzione di ceramiche. Quasi ogni casa è provvista di colorati decori e se mi proietto negli anni cinquanta del secolo scorso immagino decine di bambini giocare per le strade in un paese che viveva seguendo i ritmi scanditi dai laboratori artigianali. E chissà quante persone decoravano a casa i manufatti, in un modus operandi molto comune un tempo, quando l’assenza di leggi o di controlli informatici permettevano al lavoro di trovare sbocchi naturali e sostenibili.

Son sempre le 9 a Nove.

Eppure, se avrete occasione di leggere quanta inventiva, lungimiranza, capacità politica economica e anche, sì, moda, permeavano le storie di queste famiglie, resterete allibiti. Imprenditori moderni vengono osannati per molto meno. Vi rimando a interessanti siti che potrebbero stuzzicare la curiosità.

https://artsandculture.google.com/story/DAVhgKlfXRoA8A?hl=it

https://www.culturaveneto.it/it/la-tua-regione/arte-contemporanea-nei-musei-del-veneto/museo-civico-della-ceramica-di-nove

Poi, all’improvviso, il cancello di una fabbrica che credevo dismessa si apre e intravedo tre auto parcheggiate. Proprio di fronte, un laboratorio è in fase di restauro. Dal fondo del vicolo, rumori di attività lavorativa fanno eco all’interno di un vecchio capannone che sembrava inattivo. Realizzo che, effettivamente, ho visto molte vetrine espositive popolate di vasellame e oggetti. Forse Nove non tornerà mai a vivere nella sua interezza attorno alla terra crea; ma se questi laboratori restassero anche parzialmente in vita, affascinanti contenitori di sapienza e maestria, sarebbe già un successo. Non facciamone sempre, di tutto, una mera questione economica. Voto la “bossa bufona” come simbolo della resistenza novese.

Inaspettatamente, ora, il campanile inizia a scoccare vibranti rintocchi.

A Nove si son fatte le 10.

Una “bossa bufona”

La “bossa bufona”, caratteristica invenzione dell’artigianato tradizionale novese, è una bizzarra brocca in ceramica cosparsa di buchi veri e finti, dalla quale si può bere solo con una particolare tecnica, diventata poi un gioco: per evitare che il vino in essa contenuto si rovesci per terra o sulla camicia del bevitore, bisogna indovinare quale buco o quali buchi chiudere con le dita mentre, contemporaneamente, si solleva il recipiente per bere dal beccuccio. Frasi spiritose dipinte sulla brocca illustrano la “sfida” per chi vuole provarla.

Bevèmo Nineta

o bela moreta!

Svodèmo, matòna,

‘sta bossa bufòna!

Ma sensa el segreto

de un serto busèto,

la bossa bufòna

no conta ‘na mona!

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Francesco Sattin

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