"Fino ai 40 i cuochi si fanno seghe mentali, dopo cominciano a cucinare" (Gualtiero Marchesi)
Boutade oppure no (in fondo solo il divino Gualtiero poteva saperlo) chi avrebbe mai pensato vent’anni fa che i programmi di cucina sarebbero diventati popolari come una serie televisiva o un gioco a premi, e gli chef considerati alla pari delle star del cinema. In molte di queste trasmissioni, alcune delle quali simpatiche altre insopportabili e dove le seghe mentali non mancano mai, si porta in palmo di mano il rispetto della tradizione. Corretto, però parto da questo presupposto: quella che riteniamo essere la cucina tradizionale rappresenta una selezione di molti compromessi e il frutto di un percorso inquadrato in determinate parentesi storiche.
Un percorso dove povertà, guerre, carestie, migrazioni ed immigrazione, crisi e boom economici, mercato, scambi commerciali, casualità, invenzioni, imprevisti e contaminazioni ci hanno portato dove siamo. Una fotografia che ci vede nel contesto del Mediterraneo, ma in uno stivale che offre tanta varietà di climi terreni e storia. E oggi, talvolta, poca umiltà e memoria confusa guardando al nostro passato
“Roma, Londra, Tokyo, Singapore, tutti posti che me ga incantà, ma na spina mi go sempre in core, quando so che son lontan da qua…” ( “Ma quando torno a Padova” di G.Zanibon/L.Oliosi )
Nostalgia canaglia. Ogni tanto spunta una notizia, in ambiti e momenti diversi, ma dallo stesso refrain: ristoratore italiano si “rifiuta” di servire un certo piatto. Olè. Medaglia da appuntare al petto: perentori Jamais, meglio i Piombi che una modifica ad un piatto, tradizionale o meno. Nel nome di cosa, di una presunta superiorità o di una ipotetica perdita di dignità? Cosa comporta accettare una richiesta di un cliente? Non sarà il caso di ricordarci bene chi siamo e da cosa derivino queste tradizioni difese come dogmi ?
Divide più la carbonara che la politica.
Per onor di cronaca devo separare le strade di questo ragionamento: parlo solo di piatti tradizionali (e daje) e ristorazione di una certa fascia. Lascio da parte la ricerca della haute cuisine e degli stellati, un mondo diverso di sperimentazione e arte, dove ci si approccia per partecipare ad un percorso degustativo con uno spirito diverso. E dove i grandi professionisti in molti casi sono davvero pronti a qualsiasi richiesta!
Non è che disegnando i baffi alla Gioconda quest’ultima diventi più bella perchè donna baffuta sempre piaciuta. Non si può nemmeno chiedere di cambiare la posizione e le luci puntate dal Louvre sulla Monnalisa. Là si trova, là resta (ahimè). Ma è pur vero che un quadro di Mondrian è rimasto appeso al contrario per 77 anni, quindi attenzione a non fossilizzarsi sui preconcetti.
Carbonara. Avete visto che roba? Scrivi il nome e visualizzi il piatto. Ecco perchè non ne troverete nemmeno una foto in queste III puntate. Ce l’avete già bene in testa, la foto. La vostra foto, la vostra carbonara. Moi? Uso il guanciale e non metto la panna. Resto sulla linea gotica definita negli ultimi anni. Sono un figo lo so, ma resto umile e democratico. Non mi assale uno schema pervasivo di senso di superiorità verso chi non la pensa come me. Queste diatribe non hanno nulla di antico. Sono figlie della televisione e dei social. Panna, pancetta, cipolla, aglio, formaggio groviera e burro sono citati in testi di autorevoli gastronomi. Si doveva usare il buonsenso in cucina, una volta. Solo dopo alcuni decenni sono stati giudicati ignominiosi tradimenti. Ma chi ha tradito cosa?
Schierarsi con partigianeria è nel nostro DNA. Io dico che se un cliente ama la panna non è il Male fatto persona. E se fosse solo un cliente vintage? Occhio, che come i pantaloni a zampa, potrebbe tornare di moda.
“ …Who’s invented the phone?
U.S.A. Vs Italy, se pensate di averlo inventato voi fate pure.
Palo Alto, California, 1993. Mi trovo ad una cena di lavoro, una trentina di persone da tutto il mondo. Il capotavola, quel furbacchione del nostro insegnante ai corsi di specializzazione, americano, spara una domanda a voce alta a tutta la tavolata con un sorriso sornione. Io e Sandro da Roma, unici italiani, rispondiamo in coro “Meucci …Meucci!!!”. Gli altri americani a tavola con noi sorridono e a parte qualche ironico “for sure!” non aggiungono altro. Avevano ottenuto quello che volevano e tanto gli bastava. Il “resto del mondo” a tavola ci guarda perplesso: per quale motivo noi italiani facciamo sempre caciara e siamo così permalosi?
Permalosi un corno, iniziano con il telefono, hanno già messo le mani avanti sul Grana e se non stai attento si prendono anche la paternità della Carbonara!
Botte da orbi.
Pellegrino Artusi nemmeno la nomina, la carbonara. Nelle sue prime 475 ricette de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891) non se ne trova un accenno. La prima testimonianza sembrerebbe cinematografica. Nel film Yvonne la Nuit del 1949 (dove Totò ripropone in scena ancora “il bel Ciccillo”) in una trattoria trasteverina il cameriere richiama l’attenzione per l’ordine di coda alla vaccinara per due e carbonara per tre. Il film si trova anche su Prime.
Se cerchiamo tracce scritte, solo un anno dopo le troviamo in un manuale americano. Arrieccola, l’America, oh yeah! Ricetta “di riporto” diranno in molti, e non stento a crederci. Compare subito dopo in Italia una versione che prevede uova “formaggio” e bacon. Lo vedi cosa succede a chi viene liberato dagli americani? Colpa della razione K? La razione K non prevedeva il bacon. Ma non giravano solo razioni K con alimenti liofilizzati o sottovuoto. Era tutto il sistema alimentare (e di distribuzione) civile e militare che in quel periodo del dopoguerra era sottosopra. Anzi, sottovuoto, per usare un eufemismo. Si registrano infine alcune zuffe per dimostrare che la ricetta viene “codificata” ad una cena ufficiale preparata per le forze armate americane, a Rimini. Ma insomma, chi la preparò per primo, chi ne scrisse gli ingredienti, chi le diede il nome? Pugni e peade (pedate) direbbero in curva Sud a Padova.
Sempre negli anni ’60 la Grande Cucina parlerà agli italiani di guanciale anzichè pancetta e proporrà infine qualche cucchiaio di panna liquida e molto cremosa. La storia del nome, nato dalla polvere di pepe che ricorda il carbone, è anch’essa al centro di qualche disputa, ma almeno quella – per ora – viene data per buona. I cugini di Maroncelli in questo caso non ci azzeccano nulla.
Arrivano nuove polemiche; nate inizialmente sottovoce dagli anni ’80, esplodono dagli anni 2000 in poi per difendere origine, procedura e ingredienti “autorizzati”. E arriviamo ai giorni nostri con i programmi televisivi e i social a fare da ultras del guanciale. Nell’arena scendono anche i Talebani della tradizione, la Polizia morale del piatto e i Vopos della romanità.
Uno dei piatti italiani più imitati al mondo diventa oggi un fortino difeso da schiere di fucilieri scelti armati fino ai denti di post.
fine della parte II – to be continued…
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Davide Moressa ”Alien” – Sommelier appassionato di Vino e del mondo che lo circonda –
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