Gli Alkimysty non hanno logica, le cose a noi accadono in modo empirico e incontrollabile. Così oggi, in questa unica domenica calda della primavera 2024, ci rintaniamo in una grotta e perdiamo questo raro sole. Tuttavia, da veri Alkimysty, troveremo comunque il modo di scaldare l’anima e lo faremo nelle fresche cavità presenti sotto ai castelli di Giulietta e Romeo di Montecchio Maggiore.
Queste zone, nell’unghia più estrema della Lessinia, stanno guadagnando sempre più popolarità a livello nazionale per la produzione di vini di alta qualità. Oggi non ci aspettavamo però di conoscere una cantina completamente dedicata alla produzione di spumanti esclusivamente con metodo classico: la cantina Bellaguardia. La scelta di puntare su una unica tipologia di produzione é una caratteristica singolare per queste zone; mettere a etichetta solo metodo classico è una sfida alkimystyca e pertanto la approviamo.
Ci illustra la storia dell’azienda Federico Maccagnan, figlio di uno dei tre soci titolari. Il ragazzone ci rastrella al castello di Giulietta e ci accompagna qualche metro di sotto, un po’ verso Romeo (questo posto è, anche geograficamente, una storia d’amore). Qui c’è l’ingresso alla grotta della cantina Bellaguardia. Ho letto nel loro sito web (il link a margine dell’articolo) che i vigneti dell’azienda giacciono su suoli che si sono evoluti su rocce carbonatiche con depositi argillosi. Hanno una tessitura media ma con pietrosità elevata, con reazione moderatamente alcalina, capacità di scambio cationico alta e buon drenaggio delle acque meteoriche. E fin qui non ci ho capito una mazza, ma tanto Davide mi spiegherà quando avrà finito di interloquire con gli altri. Era anche scritto che il clima è perfetto per la vite perché, nella fase vegetativa, al caldo e alla radiazione solare diurni, si alternano notti fresche e ventilate dovute all’altimetria e specialmente alle correnti di aria fresca che scendono lungo la vallata dell’Agno dalle pendici delle piccole Dolomiti, e questo mi è molto più chiaro.
Entriamo nelle grotte e veniamo avvolti dall’unicità di questo posto. Queste erano le cave da dove veniva estratta la pietra bianca di Vicenza fin nel cinquecento, tra i clienti figurava anche il Palladio. L’architetto più famoso della Repubblica di Venezia, ancor oggi uno degli architetti tra i più celebri e copiati al mondo, utilizzava infatti tre tipi di pietra a seconda della destinazione d’uso, la pietra di Vicenza soprattutto per le ville, la pietra di Piovene per edifici pubblici o come nel caso delle logge della Basilica, e la pietra d’Istria destinata alla costruzione delle chiese veneziane.
Al di là delle grotte di proprietà della cantina c’è la parte visitabile delle vecchie Priare, gestita dal Comune di Montecchio.
https://www.comune.montecchio-maggiore.vi.it/it/page/le-priare
La temperatura, qui nella ex cava, è stabilmente a 11 gradi e l’umidità è come fosse controllata, stabile anch’essa. L’ambiente perfetto per il riposo (non per noi, ci verrebbero raffreddore e cervicali) dei vini prodotti dall’azienda. Buio, silenzio, nessuna vibrazione, temperatura e umidità stabili. Immaginate bianche pareti levigate dall’estrazione della pietra alternarsi a zone più naturali, con principi di stalattiti e sapide gocce d’acqua che cadono dalla volta. Tra le varie camere del labirinto sotterraneo, compaiono i cesti in rete contenenti migliaia di bottiglie. Dormono, le bottiglie, mentre dal fondo della cavità si sente cadere qualche goccia d’acqua, un plick dopo l’altro, arbitre del tempo necessario a far fiorire la meraviglia dei loro vini.
Camminiamo nei meandri delle cave e ci imbattiamo in una enigmatica scritta sul muro. Non è molto chiara, la scritta, così ci prodighiamo nel dire cosa leggiamo, e sarà la sete o il desiderio crescente, noi Alki leggiamo la scritta Bar. Qualcuno legge Boz, che a ben guardare è la traduzione figurata in lingua veneto-giuliana dello stesso desiderio. In realtà la scritta riporta un anno, precisamente 1302. Ohibò. Restiamo storditi da tale data, ma del resto l’origine delle grotte è da porre in relazione alla costruzione dei castelli; le prime notizie documentate della loro presenza sono del 1231.
L’azienda vinicola invece ha radici ai primi del secolo scorso, nel primo ventennio del novecento. Le sorelle Strobele allora proprietarie dei vigneti di uva Durella a sud del colle vincevano riconoscimenti col loro Champagne dei Castelli alla storica fiera dei cavalli di Lonigo (poi scippata ai leoniceni da Verona).
Ci racconta tutto Federico, con dovizia di particolari, finché ci spostiamo dal 1302 a oggi passando per gocciolanti grotte piene dei nostri echi. Ed è proprio il presente che ora si impossessa di noi, quando arrivati in una camera più grande e leggermente rialzata iniziamo la degustazione in grotta. Il grande lavoro (e il riposo) del passato si riassumono qui e ora, prima al naso e poi al palato, con una decisa delicatezza che emoziona il nostro presente. Un’uva di carattere forte come la durella che esprime il suo vigore con questo equilibrio non si trova facilmente.
Federico ci porta in degustazione svariati calici (Bellaguardia Zero, Extra brut, Montecchio Durello Pas Dosè) facendoci assaggiare anche le versioni senza solfiti per farci cogliere le differenze delle diverse strategie di vinificazione.
Nella glacette sopra il tavolo preparato per la degustazione notiamo anche delle bottiglie quasi anonime. Sono testimoni tangibili (e bevibili) di piccoli lotti di prova: annate particolari, tempi di riposo sui lieviti e tagli di uvaggio sperimentali. Le etichette sono sommarie e riportano solo i dati principali, non sono bottiglie destinate al commercio. La curiosità è molta, Federico gentilmente ce ne apre qualcuna. E’ una scoperta, un viaggio nel tempo e nella vigna, piccole verticali che disegnano nitidamente l’evoluzione dello spumante sotto il profilo olfattivo e gusto-olfattivo. 120-72-100 non sono le misure di una Miss prosperosa ma alcune delle scritte a pennarello che ci ricordano i mesi di riposo sui lieviti. L’obiettivo enologico necessita di sperimentazione, non può essere calcolato solo a tavolino, è essenza stessa del mondo del metodo classico. Federico ci racconta l’apprensione tra i soci della cantina prima dei test di assaggio e di verifica programmati durante l’anno dei vari lotti stoccati. Come stanno i nostri piccoli, crescono bene, maturano? La pressione è a posto?
La libertà di sperimentazione e di interpretazione dei vini regala un senso di libertà e di realizzazione incredibile ai produttori ma il responso sulla qualità del loro lavoro sarà tangibile solo dopo molti anni. Si corre il rischio di immobilizzare capitale e impegnare tanto tempo e sacrifici. Il costo di un prodotto di alta qualità selezionato che arriva nelle nostre tavole e nei migliori ristoranti è anche conseguenza di questo tipo di investimenti.
Santi Felice e Fortunato di Vicenza.
Ormai siamo inebriati dal posto e dai vini e il buon umore si impossessa del gruppo. Eh sì, il buon umore del vino in compagnia. E allora iniziamo a parlare anche di noi, dei nostri gusti, delle etichette che riportano ognuna un diverso disegno dei mosaici dei pavimenti della Basilica dei SS.Felice e Fortunato di Vicenza. Parliamo anche delle fortune dell’azienda agricola: la riscoperta delle grotte agli inizi del 2000, la possibilità di sfruttare buio e temperatura costante per il lungo processo di presa di spuma e affinamento in bottiglia, come anche la possibilità di usare un muletto nelle grotte per spostare i cesti di bottiglie (e qui ridiamo). Quando si sta bene il tempo passa in fretta, purtroppo è già ora di uscire. L’aria, dopo la tanta pioggia dei giorni scorsi, è tiepida e la serata piacevole: questo rende meno impossibile uscire da questo paradiso interrato.
La sensazione che abbiamo ricevuto è stata quella di osservare un punto di vista geologico capovolto sul mondo delle vigne. Molti metri sopra le nostre teste le radici delle vigne di durella, pinot bianco e pinot nero Bellaguardia, la maggior parte delle quali allevate a pergola trentina, affondano nella terra e raccolgono le sostanze vitali per la crescita arrivando fino alla pietra. La stessa pietra che possiamo vedere da sotto e da “dentro”, possiamo toccarla con mano e quasi farne parte.
Tutta la produzione Bellaguardia è accumunata da una delicata ed elegante sapidità, perlage fino e persistente, una bella persistenza gusto olfattiva. Gli aggettivi che potrebbero identificare questi vini sono eleganza, definizione e finezza dei profumi, voluminosità al palato, sapidità e piacere di beva. Il territorio è ben disegnato in modo particolare dalla durella che interviene in alcuni vini al 100% in altri casi in combinazione con il pinot bianco. Le lunghe soste sui lieviti addomesticano la freschezza caratteristica della durella e regalano colori giallo dorati brillanti ad elevata lucentezza. Il pinot bianco 100% è invece l’alternativa internazionale con una impronta di eleganza e finezza caratteristica delle migliori produzioni. Non è un caso se Bellaguardia è presente nella carta vini di moltissimi ristoranti di alto livello, bensì il giusto premio di tanto lavoro concentrato sulla qualità della materia prima, partendo dalle operazioni in vigna (la raccolta è manuale in cassette) e con rispetto dei valori del territorio.
Narra la leggenda, da queste parti, che i manieri dei due sfortunati amanti resi celebri da W.Shakespeare fossero collegati da un tunnel sotterraneo. “il nonno di mio nonno giurava che i castelli sono uniti tra loro da un passaggio segreto, sottoterra…” ci disse una volta il vecchio custode della chiesetta alpina poco distante da dove ci troviamo. Ci piace pensare che un giorno, chissà, verranno scoperti nuovi rami di queste gallerie. E scherziamo sulla teoria che il buon Romeo, invece di salire le mura del castello arrampicandosi con grande rischio, potesse invece facilmente sbucare nella camera di Giulietta da una botola sul pavimento. Già immaginiamo il Montecchi portare agevolmente una bottiglia di vino per brindare all’incontro con la Capuleti. Anzi, a ben vedere, visto che stiamo lavorando di fantasia, ce lo vediamo sbucare con un romantico “Cucù” e una cassa intera di vino. Perché tanto, a ben vedere, nelle grotte poteva usare il muletto.
Ci siamo divertiti, eravamo un bel gruppo e Federico non ha lesinato su informazioni e assaggi. Un’esperienza che alkimysty.com consiglia a tutti.
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