“Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione (…) sia più consona alla natura umana che non la perfezione”.1
Quanto ci piacciono le cose belle, e le persone belle e gli animali belli. Siamo attratti dall’equilibrio perfetto di linee, curve, volumi e colori. Ma qual è questo equilibrio? E soprattutto, cos’è la perfezione?
Vi voglio raccontare una storia.
Le notizie non erano buone. Gli avevano fatto una tac e un’ecografia, gli organi interni non erano stati interessati dal colpo, ma ciò nonostante non reagiva. Non potevo vederlo perché in quel momento lo stavano visitando. Sconsolata tornai a casa. Il giorno dopo la situazione non era cambiata di molto, a parte il fatto che forse qualcosa aveva mangiato. Stavolta mi fecero entrare in visita, ma se ne stava accoccolato con gli occhi chiusi.
Il terzo giorno ricordo che prima di andare a lavorare per scaramanzia stavo quasi per rinunciare a passare in clinica. Mi dissi, mi diranno le stesse cose, lo so che tanto è grave. Poi di impulso cambiai strada e decisi di passare.
– Sa che sta meglio? Mi dissero alla reception. Ero felice come una Pasqua!
Sin qui storia triste, certo, ma purtroppo poco originale.
E se vi dicessi che il malato della storia era un gatto? Forse pensereste che sono io poco equilibrata? O magari condividereste con me i patemi d’animo?
Mi piacciono i gatti. Trovo divertente il loro modo di essere altezzosi ed egoisti, adorabili le loro forme aggraziate e ipnotici gli occhi. Sono stati concepiti da madre natura, credevo io, praticamente perfetti.
Il gatto in questione era un cucciolo di appena due mesi, un trovatello che avevo regalato e che dopo un gravissimo incidente, venne ricoverato in clinica. Poi, dopo cinque giorni di ricovero, me lo portai a casa in convalescenza in quanto io abitavo appunto vicino alla clinica veterinaria e l’animaletto necessitava di continue visite specialistiche. Si chiamava, e si chiama ancora, Figaro.
Ricordo che, perplessa, pensai: e adesso? Cosa faccio?
Provai a dargli un po’ di carne di pollo sminuzzata come mi aveva detto la veterinaria. Ma come lo posavo vicino alla ciotola, cominciava a lamentarsi in modo disperato e comunque non mangiava. Se lo mettevo sul divano, si accomodava a ciambella e chiudeva gli occhi.
Non avevo nessuna esperienza di salvataggio cuccioli, ma capì che per aiutarlo a sopravvivere avrei dovuto nutrirlo io. Così dopo una telefonata alla clinica, due visite al negozio di animali e qualche sbirciatina su Internet, cominciai a preparagli una sorta di biberon con cibo a base di carne e latte. Iniziò a succhiare voracemente, anche con gli occhi chiusi. Allestì un giaciglio sul balcone e mi attrezzai di borsa dell’acqua calda rivestita con un asciugamano e di stufetta elettrica.
A causa del colpo subìto nell’incidente, sviluppò l’epilessia. Che pena assisterlo durante le crisi e somministrargli il tranquillante.
Ricordo anche che la prima notte non riuscivo a dormire e che mi alzavo in continuazione per verificare che fosse sempre vivo e non in preda alle convulsioni.
Sapevo che non era stato ancora vaccinato e che aveva subito solo un trattamento antipulci. Cominciai a diventare maniacale. Varechina in continuazione, mi cambiavo la felpa tutti i giorni e mi lavavo le mani in modo ossessivo.
Sino a che una sera, mentre io lavavo i piatti e lui stava sdraiato davanti alla stufetta, come sempre, mi pareva di aver visto con la coda dell’occhio che, con una zampina, avesse cercato di spostare il tappo di sughero che pendeva da un filo che avevamo sistemato per stimolarlo a giocare. Con fare fantozziano, quando mi giravo, si fermava. Riprendevo le mie faccende, e di nuovo zampina in aria. Così per tre o quattro volte, sino a che gli avvicinai il tappo e iniziò a sferrare colpi in aria come un pugile, anche se senza mai fare centro.
Quel momento rappresenta l’inizio del lento recupero di Figaro. Ogni giorno faceva una nuova conquista e iniziò a crescere.
E’ tornato a casa sua dove ha un bel giardino e tanto spazio; è un gattone adulto ormai. Ha tante stranezze e tanti limiti. E’ rimasto cieco e sordo dal lato sinistro e non piega bene la zampa posteriore sinistra. Non si è mai arrampicato su un albero, sale veloce però sul cemento raggrumato del rivestimento del barbecue. Molto esigente in materia di pappa, non riesce a masticare bene, né a dilaniare le fibre della carne, quindi lui non mangia, succhia. Non riesce a leccarsi bene la pelliccia e il risultato è che è sempre molto arruffato. Non miagola mai e raramente fa le fusa. Quando corre, spesso batte la parte sinistra della testa perché da quel lato non vede gli ostacoli. E da qualsiasi parte arrivi un suono, lui si gira sempre e comunque verso destra.
Eppure, sarà per il ricordo di quanto abbia lottato per rimanere in vita, o per quel suo essere diverso, questo gatto ci piace molto. Anzi, sono convinta che siano proprio le sue imperfezioni e la sua deviazione dai parametri della bellezza canonica e della funzionalità che lo rendono unico. Un po’ ‘S-Figaro’, ma unico.
Una espressione intelligente di Figaro, non fatevi ingannare!
1 Rita Levi-Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Baldini-Castoldi, 2017