Quante volte nei nostri dialoghi comuni diciamo o ci sentiamo dire “In teoria sì”? Ma cosa significa questa frase, che tra l’altro sembra gettare grandi ombre minacciose sullo scenario futuro, così pronta ad essere seguita da un enunciato opposto, “ma in pratica no”?
La dicotomia tra teoria e pratica è una delle più teorizzate e praticate, perché sta alla base della bellezza della vita, del suo scibile, del suo imprevedibile, del suo fascino, della sua incommensurabile grandezza. Teorizzare la vita è già un inizio di pratica e praticare la vita è dar linfa alla teoria. Teorizzare un futuro e poi mettere agli annali cosa è accaduto in pratica è un’attività che il genere umano ha svolto da sempre, per poter canalizzare comportamenti sociali e naturali e rendersi la vita più facile e comprensibile. Sebbene teorici e praticanti abbiano spesso idee opposte, inesorabilmente gli uni hanno bisogno degli altri e questo rende la dicotomia tra le formulazioni di principi e il compimento di azioni, in realtà, un tutt’uno. L’essere umano ha talmente necessità di teorizzare in base alle pratiche e alle teorie precedenti che ora chiede di sviluppare questa risultante all’intelligenza artificiale. Ma che sia il modus operandi più sano?
Qualche anno fa una scelta veniva fatta con difficoltà, diluendola nel tempo per fare in modo che le ipotesi decantassero, così che la teoria restasse fuori dalla morchia dei dubbi. Solo allora si metteva in pratica la teoria. In quei giorni di incertezza, continui e talvolta ossessivi compagni suggeritori apparivano nei sogni o nelle pause dalle dinamiche quotidiane: come il bene e il male nei cartoni di Tom & Jerry degli anni sessanta (personificati da angioletto e diavoletto), teoria e pratica si appoggiavano alla tua spalla a darti consigli, la teoria con i suoi occhialetti tondi e la voce afona, la pratica con la sua voce grossa e la mandibola prospicente, e tu cercavi di decidere oliando gli ingranaggi del cervello e costruendo i muri portanti della tua coscienza.
Tutto questo bel circuito chiuso, autoalimentato, potrebbe subire un break con la AI. Assimilando il suddetto rapporto tra teoria e pratica a una fase di progettazione e a una di messa in opera, infatti, credo che l’uomo alimenterà la propria (naturale) propensione a non far fatica. Il mio timore è che la AI porti il singolo a creare lavori già finiti al primo approccio. Ovvero temo, quindi è solo un’ipotesi personale, che la AI potrebbe danneggiare le elaborate meccaniche cerebrali e gli incontrollabili moti delle coscienze, eliminando fisicamente uno dei due tra l’angioletto e il diavoletto dei cartoni. Come nel passaggio epocale dalla carta topografica a Google Maps chiunque ha potuto velocizzare i propri tempi di percorrenza (cosa estremamente positiva), si è però reso impossibile a qualcuno col cellulare scarico di andare a dieci chilometri da casa perché l’individuo cade nel panico (pigrizia o ignoranza intellettiva, molto negativa). Chiedendo a ChatGPT di produrre un testo, una mail, una immagine, una canzone, si rischia l’ennesimo appiattimento della produzione umana. Anziché esprimere coraggiosamente una propria emozione, attendere la foto perfetta per ore, se non giorni; anziché creare l’armonia musicale con l’elemento assonante, il fuori tempo che attanaglia l’animo; invece di sforzarsi di comunicare in profondità con sé stessi e con gli altri; finirà che ci esprimeremo con una voce di massa, che andrà sempre bene, e per questo pressoché autorevole.
A tal proposito, con preciso riferimento al mondo fotografico, vi invito a leggere il pregevole scacco matto di Boris Elgadsen (quanto coraggio, quanta insolente critica, e ironia, in questo gesto):
https://www.wired.it/article/premio-fotografico-ai/
Paragonatelo poi alla romantica sagacia di Valerio Minato che ha portato a termine il suo personale progetto dopo lunghe peripezie tecniche, scientifiche e artistiche:
https://www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2023/12/nasa-foto-piu-bella-valerio-minato/
Ragioniamo, poi, sul fatto che d’ora in avanti tutto sarà confuso, e al limite della chiarezza. Nel primo articolo un “falso” era stato premiato come vero. Nel secondo un “vero”, premiato, è stato accusato di falso. Ombre, oscure e caotiche, abiteranno sempre all’interno di qualsiasi prodotto dell’intelletto umano. Ricordiamocene anche quando vedremo immagini di qualsiasi tipo al telegiornale.
Io spero che alla lunga vinca l’elettricità del pensiero cerebrale.



E se dopo il fervore iniziale, che certamente ci sarà, per la AI, mettessimo l’intelligenza artificiale semplicemente tra i nostri strumenti a disposizione e la trattassimo solo da (potentissimo) fornitore di ipotesi?
Prendiamoci il tempo di pensarci.

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